Melone

Origine e diffusione

Il melone è originario dell'Africa tropicale e, secondariamente, dell'Iran, India, Russia meridionale e Cina.

Nel 1998 la superficie mondiale interessata da questa coltura è stata di circa 1.000.000 di ha con una produzione pari a circa 17,6 milioni di t.

I principali produttori risultano la Cina (312.000 ha), la Turchia (110.000 ha), l'Iran (70.000), il Messico (52.000 ha), la Romania (47.000 ha) e la Spagna (43.000 ha).

In Europa la superficie coltivata è stata pari a circa l'11 per cento di quella mondiale (140.000 ha) con una produzione di circa 2,44 milioni di tonnellate di cui circa il 70 per cento nei Paesi dell'U.E. Di questi ultimi, i Paesi maggiormente interessati risultano Spagna (43.000 ha), Italia (21.600 ha), Francia (17.500 ha) e Grecia (7.900 ha).

La Sicilia è la regione maggiormente interessata con oltre un quarto della produzione nazionale, seguita da Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Lazio.

A livello nazionale la coltivazione viene effettuata sia in coltura protetta (3.000 ha) che in pien'aria (20.000 ha).

 

Caratteristiche botaniche

Il melone è una pianta annuale appartenente alla famiglia delle cucurbitacee.
Le radici sono fibrose e possono superare i 200 cm di profondità ed estendersi altrettanto lateralmente.

Il fusto è angoloso, quadrangolare, ricco di peluria, presenta cirri e ramificazioni che, in alcune cultivar, possono allungarsi fino a 5 m.

Le foglie sono alterne e opposte ai cirri, lunghe 5-20 cm e larghe 10-30 cm.

Il picciolo è lungo quasi quanto la lamina fogliare.

Comunemente si tratta di una specie andromonoica, ma esistono anche cultivar monoiche o con soli fiori ermafroditi. I fiori sono ascellari con corolla gialla a 5 lobi; quelli maschili sono riuniti in infiorescenze e portati da peduncoli corti e muniti di peluria.

I fiori maschili compaiono prima di quelli femminili o di quelli ermafroditi. Ogni pianta può portare 25-70 fiori femminili, ma solo il 10 per cento circa diventa frutto.

L’impollinazione è entomofila e l’allegagione in genere avviene solo dopo numerose visite ai fiori femminili da parte degli insetti pronubi.

Il frutto è un peponide unito al fusto tramite un peduncolo.

La porzione centrale del frutto è costituita da tessuto placentare (in cui sono inseriti i semi) che riempie, quando il frutto è giovane, tutta la cavità ovarica.

Man mano che il frutto si accresce, nella cavità aumenta lo spazio libero, il tessuto diventa più flaccido e, infine, quando è ultramaturo il tessuto si disfa completamente e diventa acquoso, tanto che i semi restano liberi nel liquido.

Le cultivar presenti in Italia ricadono nei seguenti gruppi:

-         cantalupensis. Hanno frutti normalmente di forma sferica e superficie liscia, di colore grigio-verde tendente al giallo o ricoperti da un fitto ed evidente reticolo;

-         inodorus. Sono detti meloni d’inverno, per la possibilità di essere conservati per un lungo periodo, soprattutto se i frutti sono raccolti prima della piena maturazione;

-         flexuosus. Sono denominati melone serpente, tortarello; i frutti vengono utilizzati crudi alla stessa maniera del cetriolo;

Il melone è una pianta termofila e, pertanto, sensibile alle basse temperature.

E' nel meridione che questa coltura trova le condizioni climatiche più favorevoli. In ogni caso, sono da escludere per la coltivazione del melone tutti quegli areali in cui si possono verificare bruschi abbassamenti di temperatura.

Per la sua particolare resistenza a condizioni di stress idrico, grazie alla profondità dell'apparato radicale, questa specie è coltivabile in condizioni di aridocoltura facendo ricorso, eventualmente, a sole irrigazioni di soccorso.

Il melone è una specie da rinnovo che richiede anche delle lavorazioni in funzione dei terreni a circa 30-40 cm e, pertanto, può essere inserita in apertura di una nuova rotazione, dopo aver coltivato frumento o altre erbacee da pien'aria (colza, orzo, avena, foraggi, ecc.).

In ogni caso, non deve ritornare sullo stesso appezzamento prima che siano trascorsi una decina di anni per l'elevata sensibilità agli attacchi di verticillosi e fusariosi.


Esigenze pedoclimatiche

Il melone essendo specie originaria delle zone tropicali e sub-tropicali è esigente in fatto di temperatura.

La temperatura minima letale è di 0-2 °C, la minima e la massima biologica sono, rispettivamente, di 12-14 °C e 30-36 °C; quella minima per la germinazione è di 13-15 °C, l'optimum di 20-30 °C.

Il regime termico giorno- notte nelle fasi successive all'emergenza è di 18-20/24-30 °C. Con intensità luminosa elevata, temperatura alta e giorni lunghi, viene stimolata la formazione di un maggior numero di fiori maschili.

Per l'assorbimento degli elementi nutritivi è necessaria una temperatura del terreno superiore a 10 °C. Riguardo agli elementi nutritivi, terreni con dotazioni medie di azoto, fosforo, potassio e calcio, consentono alla coltura di esprimersi al meglio.

Il melone predilige terreni profondi, argillosi, limosi, ben drenati, con pH variabile da 6 a 7,5. Tollera i terreni calcarei ma non quelli acidi.

I terreni sabbiosi consentono produzioni più precoci ma talvolta di minore qualità a causa della ridotta fertilità.

Rispetto alla salinità la pianta del melone è mediamente sensibile; quando l'estratto di pasta satura del terreno raggiunge circa 7 dS/m la produzione dei frutti si riduce del 50 per cento.

Se la coltivazione del melone avviene in terreno con valori relativamente elevati di salinità, si può verificare da una parte un ridotto accrescimento della pianta ed una riduzione produttiva, dall'altro un miglioramento della consistenza della polpa e del contenuto zuccherino.


Rotazione
La rotazione assume, come sempre, un ruolo fondamentale, non solo perché consente di mantenere la fertilità del terreno sempre a livelli adeguati e di controllare la flora avventizia, ma soprattutto perché la coltura in questione mostra una sensibilità altissima all’attacco di fusariosi e verticillosi.

Per evitare l’instaurarsi di questi patogeni nel campo e, quindi, per evitare danni anche alle colture successive, il melone deve tornare sullo stesso appezzamento non prima di 10-12 anni.

Se per esigenze di mercato è necessario effettuare delle rotazioni più brevi, è indispensabile scegliere cultivar resistenti o impiegare piantine innestate.

Il melone è una pianta da rinnovo e, pertanto, può essere inserita in apertura di una nuova rotazione, dopo aver coltivato frumento o altre erbacee da pien'aria.

In caso di semina diretta in campo è consigliabile non impiantare il melone dopo aver coltivato il pomodoro, in quanto in alcune ricerche è stato osservato che estratti radicali di questa coltura possono aumentare il numero di semi non germinati di melone.

E' comunque preferibile il trapianto per gli effetti favorevoli.

In ogni caso, sono da evitare successioni a solanacee, a colture della stessa famiglia (cetriolo, zucchino, zucca, cocomero) e al ristoppio.

 

Scelta delle cultivar

Per ottenere colture in equilibrio con l'agroecosistema è indispensabile partire da cultivar resistenti ai vari fattori biotici ed abiotici, con elevata rusticità e maggiore efficienza nell'utilizzare le risorse idriche e nutrizionali del terreno.

La scelta della cultivar viene fatta considerando quelle tradizionali a tutt'oggi utilizzate per la gradevolezza delle loro caratteristiche organolettiche, per il loro aspetto, per la resistenza alle malattie e per la destinazione commerciale del prodotto.

Tra le cultivar più rappresentative del mezzogiorno, ancora oggi coltivate dai piccoli e grandi orticoltori e le cui origini sono in parte legate anche ad alcune aree del Sud Italia, si possono citare le seguenti: Hale's Best Jumbo, Giallo rugoso di Cosenza Tendral verde.

Tra queste cultivar, peraltro molto antiche, si riconoscono ancora oggi caratteri positivi e ricercati, legati alla dolcezza ed al sapore (Hale's Best Jumbo e Giallo rugoso di Cosenza) ed alla conservabilità (Tendral verde).

Oltre a queste si possono ricordare altre cultivar (Zagara, Calipso), importanti per la comprovata adattabilità ai nostri areali e resistenti alle principali avversità che interessano la coltura.

In ogni caso, applicando il metodo di produzione biologico, la scelta delle cultivar deve seguire attentamente le indicazioni fornite dalle ditte sementiere sulle caratteristiche di tolleranza/resistenza alle avversità biotiche ed abiotiche.

 

Impianto
La scelta delle tecniche di impianto più idonee è di fondamentale importanza al fine di ottenere una coltura in buono stato vegetativo e, pertanto, poco suscettibile alle avversità biotiche (insetti, funghi, infestanti, eccetera) e abiotiche (carenza idrica, temperature elevate, stress nutrizionali, eccetera).

Il melone possiede un apparato radicale che si approfondisce notevolmente fino a raggiungere anche i due metri di profondità.

Normalmente, se non subentrano esigenze particolari, l’aratura classica può essere sostituita dalla scarificatura ad una profondità massima di 40 cm.

Tale operazione va effettuata prima delle prime piogge autunnali con terreno il più possibile asciutto lungo tutto lo strato da lavorare e per favorire la frattura degli strati compatti; così operando, infatti, non si formeranno solo delle fessure verticali, ma si sgretolerà anche il terreno delle parti laterali a quelle dell’organo scarificatore.

La lavorazione preparatoria principale va eseguita prima dell'autunno per favorire l'immagazzinamento di una maggiore quantità di acque meteoriche nello strato di terreno esplorabile dalle radici.

Qualora il melone venisse preceduto da una coltura a ciclo autunno-vernino la lavorazione principale dovrebbe precedere tale coltura effettuando per il melone, invece, un'aratura più superficiale (20 cm).

Al fine di preservare quanto più possibile la struttura e la fertilità del terreno, poco prima della semina o del trapianto bisogna effettuare un’erpicatura leggera, tenendo presente che non occorre affinare molto il terreno. Infatti, nella generalità dei casi la coltura deve essere trapiantata e, anche se venisse effettuata la semina, le dimensioni dei semi sono tali da non richiedere un eccessivo affinamento del terreno.

Prima della semina o del trapianto il terreno può essere sistemato in piano o a porche. In questo ultimo caso i semi o le piantine saranno disposti in un solchetto realizzato al centro della porca.

Il melone può essere seminato direttamente in campo, oppure può essere trapiantato utilizzando piantine allevate in pane di terra allo stadio di 3-4 foglie.

Tra le due tecniche, il trapianto presenta i vantaggi di:

-         sfuggire con più facilità all'azione competitiva delle infestanti e ad eventuali patogeni e parassiti tellurici;

-         evitare le operazioni di diradamento delle piantine;

-         evitare le fallanze;

-         poter utilizzare piante innestate;

-         ridurre il tempo di occupazione del campo ed i consumi idrici.

E' necessario che le piantine impiegate per il trapianto abbiano il pane di terra poiché la rottura delle radici provoca l'emissione di sostanze cicatrizzanti che ostacolano l'assorbimento idrico e, quindi, l'attecchimento.

Per la produzione di piantine con il pane di terra si possono utilizzare vasetti (7-9 cm di diametro) o contenitori alveolati con terriccio abbastanza leggero.

Per assicurare un regolare accrescimento delle piantine è necessario mantenere, durante le prime fasi di crescita in vivaio, il substrato ad una temperatura pari o leggermente superiore a quella ambientale; in seguito, la temperatura dovrà essere di 18 °C a livello dell’apparato radicale e di 20-22°C nell’ambiente della serra.

Questo modo di procedere eviterà la crescita troppo accelerata delle piantine che è spesso causa del fenomeno della "filatura", caratterizzato dalla presenza di fusti esili e, complessivamente, maggiormente suscettibili alle varie avversità.

Inoltre, circa una settimana prima del trapianto, si deve iniziare un regolare abbassamento della temperatura all’interno della serra, al fine di far acclimatare gradatamente le piantine alle condizioni di pien'aria.

Durante tutto il periodo di allevamento in vivaio è opportuno razionalizzare le irrigazioni per cercare di "indurire" le piantine che, in pien'aria, sopporteranno meglio situazioni di disponibilità idrica limitata.

n alcune esperienze, inoltre, è stato osservato che con semi prima immersi in acqua per 20-36 ore e poi asciugati a 20-22 °C, si è ottenuta una più rapida germinazione e crescita delle piantine ed un miglioramento della produzione e della qualità dei frutti. Le piante ottenute da semi così trattati, hanno mostrato di essere più resistenti al Fusarium.

La densità di piante, sia con semina diretta che con trapianto, cambia a seconda delle dimensioni delle piante proprie che delle diverse cultivar.

Di norma, in coltivazione biologica può variare tra 0,5 e 1 pianta/m2 con distanze che vanno da 200 a 250 cm tra le file e 60-100 cm sulla fila.

Nel caso della semina diretta si possono utilizzare 4-5 semi per postarella.

Con il diradamento, da eseguire 7-10 giorni dopo l'emergenza, saranno eliminate le piante meno vigorose lasciando 1 o 2 piante per postarella. In questo ultimo caso, tra le postarelle, saranno impiegate le distanze più elevate.

In ogni caso, le distanze maggiori saranno impiegate per le cultivar ad elevato accrescimento.
Le basse densità di piante permettono di ridurre al minimo la competizione tra le piante oltre al fatto che si riduce il fabbisogno irriguo e nutrizionale complessivo della coltura.

In terreni particolarmente fertili e con una buona riserva idrica, si può aumentare leggermente la densità e questo permette di gestire più agevolmente le infestanti tra le file.

L’impianto della coltura si effettua quando non si temono più gelate tardive e quando la temperatura del terreno si è stabilizzata intorno a 12-15 °C.

Essendo il melone una coltura con elevate esigenze termiche, temperature più basse possono causare arresti vegetativi dannosi alla buona riuscita della coltura.
Per il trapianto bisogna utilizzare piantine di 35-40 giorni di età, con radici ben sviluppate e parte aerea che presenti almeno due foglie vere.

Bisogna avere cura di effettuare un'adacquata subito dopo il trapianto per favorire l'attecchimento.

 

Gestione della fertilità

La gestione della fertilità nella coltura del melone, così come per tutte le altre colture, deve perseguire come obiettivo principale la conservazione delle potenzialità naturali del terreno.
Per fare questo, è importante inserire il melone in una rotazione che tenga conto in modo razionale ed opportuno delle esigenze nutrizionali di tutte le colture che si è programmato di effettuare.

Per produrre in pien'aria 10 t/ha di frutti, è stato stimato che le piante di melone asportano: 32, 5, 52, 50, 5 Kg/ha rispettivamente di N, P2O5, K2O, CaO e MgO.

Di queste quantità, è stato visto che il 30 per cento dell’azoto, del fosforo e del potassio assorbiti, ritorna al terreno mediante i residui colturali, mentre del calcio e del magnesio, ne ritornano rispettivamente il 70 e il 50 per cento; pertanto con una produzione di 25 t/ha le asportazioni ammontano a:

 

Produzione (t/ha)

Elementi (Kg/ha)

N

P2O5

K2O

CaO

MgO

25

56

9

91

38

6

 

Queste non rappresentano, ovviamente, le quantità di elementi da somministrare al terreno.

Riguardo ai possibili apporti in materia organica fresca, alcuni studi hanno mostrato che su 68 t/ha, 42 sono composte da frutti, 16 da foglie, 9 da steli e 1 dalle radici; da questo si può dedurre che, circa 26 t di materia fresca rimangono nel terreno e vengono sovesciate.

Al fine di una corretta utilizzazione del fertilizzante più adatto è bene evidenziare che il ritmo di asportazione di tutti gli elementi nutritivi presenta valori massimi tra 30 e 45 giorni dopo il trapianto; l’accrescimento giornaliero risulta di 122 Kg/ha. Negli ultimi 30 giorni, su un intero ciclo di 90, viene formato il 60 per cento della sostanza fresca.

Per assicurare la conservazione della fertilità chimico-fisica del terreno è utile la somministrazione di materia organica, ad esempio sotto forma di letame, nel periodo autunnale prima delle lavorazioni principali, oppure attraverso il sovescio di leguminose coltivate durante l'autunno inverno che precede la coltura del melone.

In tal modo viene assicurato, oltre all'apporto diretto di nutrienti, anche una migliore efficienza nel loro assorbimento.

E' da tenere presente che, dato l'elevato approfondimento radicale, questa specie può sfruttare le risorse nutrizionali presenti negli strati di terreno normalmente non esplorati dagli apparati radicali di altre specie inserite nella rotazione e, quindi, riportare in superficie elementi nutritivi eventualmente dilavati in profondità.


Gestione delle risorse idriche

In ragione dell’apparato radicale particolarmente profondo e della capacità della pianta di ridurre fortemente la traspirazione chiudendo gli stomi nelle ore più calde della giornata, il melone può essere coltivato, in pien’aria, senza l’ausilio di apporti idrici regolari.

Spesso, è necessaria un'irrigazione al momento del trapianto per favorire l'attecchimento delle piantine. In questo caso, anche se il terreno si presenta con una buona umidità, è utile umettare la sola zona in cui è stata adagiata la piantina in modo da favorire la migliore adesione delle particelle terrose al pane di terra e, quindi, la fuoriuscita delle radici da quest'ultimo.

Per limitare gli interventi irrigui in questa prima fase del ciclo colturale, soprattutto in presenza di terreni argillosi ed in assenza di pacciamatura, è utile eseguire una zappettatura molto superficiale in prossimità delle piantine 1-2 giorni dopo l'adacquata, che porta al di sopra della zona umettata un sottile strato di terreno asciutto; in tal modo si crea uno strato pacciamante che evita l'evaporazione, la formazione della crosta superficiale e di crepacciatura.

Quando si segue la semina diretta, se il terreno è ben umido e la temperatura dell'aria sufficientemente alta da favorire la rapida germinazione, può non essere necessario irrigare dato il rapido approfondimento della radichetta.

Qualora il terreno non presenti un'umidità sufficiente a garantire una regolare germinazione ed emergenza delle piantine e non si prevedano piogge a breve termine, per evitare ritardi e non contemporaneità dell'emergenza, ed il maggiore rischio di attacchi dei semi da parte della fauna terricola, è sufficiente umettare abbondantemente la postarella in cui subito dopo saranno adagiati i semi e ricoprirli con un sottile strato (1-2 cm) di terreno asciutto che assume una funzione pacciamante.

Per sfruttare le ottime capacità adattative di questa specie ad un regime idrico carenzato senza limitazioni produttive considerevoli, è necessario assicurare una buona riserva idrica lungo il profilo del terreno.

Ciò si ottiene attraverso l'esecuzione della discissura o dell'aratura profonda prima delle piogge autunnali in modo da migliorare la struttura del terreno, favorire l'infiltrazione delle acque meteoriche senza perdite per ruscellamento superficiale ed aumentare la capacità d'invaso del terreno.

Per la riduzione delle perdite di acqua per evaporazione è utile l'impiego della pacciamatura, oppure l'esecuzione di 1-2 sarchiature prima che lo sviluppo delle piante interessi l'interfila.

Con la sarchiatura si ottiene anche il vantaggio dell'eliminazione delle infestanti appena emerse che altrimenti concorrerebbero al consumo idrico.

Un altro fattore da tenere in considerazione nella gestione delle risorse idriche è la densità di piante in relazione alla diversa riserva idrica che possono presentare i terreni al momento dell'impianto sia per le caratteristiche intrinseche di questi ultimi (tessitura, struttura, profondità) che per l'entità delle precipitazioni della stagione autunno-invernale.

In ogni caso è sempre consigliabile limitare la densità per evitare al minimo la necessità di interventi irrigui di soccorso.

Questi ultimi, in caso di stagione particolarmente siccitosa, bisogna avere cura di eseguirli nella fase di ingrossamento dei frutti; di solito è sufficiente un solo intervento con elevato volume di adacquamento (500-800 m3/ha).

Il metodo irriguo consigliabile può essere quello per aspersione o localizzato a bassa pressione (goccia). Il primo è da impiegare quando si effettuano solo adacquate di soccorso.

È da tenere presente che l'irrigazione a pioggia, mantenendo umida tutta la superficie del terreno con un elevato livelllo igrometrico, favorisce lo sviluppo di marciumi dei frutti, inconveniente che può essere evitato con la pacciamatura del terreno con idonei materiali.

Il secondo è da usare quando si prevedono irrigazioni più frequenti necessarie per i terreni aventi una limitata riserva idrica (terreni sciolti, poco profondi, scarsità di precipitazioni invernali).
Questa specie risulta, come si è detto, moderatamente sensibile alla salinità.

Inoltre, una certa salinità dell'acqua e/o del terreno favoriscono un miglioramento qualitativo dei frutti attraverso l'aumento del tenore zuccherino, del profumo e della consistenza della polpa.

L’entità dei consumi idrici del melone è variabile in relazione all’andamento meteorico, alla durata del ciclo colturale, alla superficie fogliare, alle agrotecniche impiegate (densità, modalità di impianto, pacciamatura, sarchiatura, regime idrico).

Negli zone meridionali possono ottenersi, in media, consumi idrici variabili tra 3.000 e 6.000 m3/ha. Tuttavia, in una gestione biologica della coltura, adoperando le tecniche che mirano alla riduzione dei consumi idrici, questi ultimi possono attestarsi su valori di 3-4.000 m3/ha.

Gli interventi irrigui, generalmente a carattere di soccorso, è comunque necessario eseguirli alla semina e/o trapianto (localizzati) con 3-5 litri per pianta o postarella (20-50 m3/ha) e quando viene consumata il 60-70 per cento dell’acqua disponibile nell’ambito della zona maggiormente esplorata dalle radici (0-70 cm di profondità).

In ogni caso, data la buona capacità della specie a regolare l’apertura stomatica in relazione alle disponibilità idriche ed alla domanda traspirativa dell’atmosfera, se questa ultima non è molto elevata (giornate fresche e/o umide e poco ventilate), l’attingimento idrico da parte delle radici, anche dagli strati profondi oltre i 70 cm, può garantire alla pianta un rifornimento idrico sufficiente senza determinare riduzioni produttive considerevoli.

Qualora le condizioni menzionate non si verifichino, è necessario irrigare soprattutto se è sopraggiunta la fase di ingrossamento dei frutti e non sono prevedibili precipitazioni consistenti.

I volumi stagionali d’irrigazione possono aggirarsi tra 800 (nel caso di riserva idrica elevata all’inizio della coltura) e 2.000 m3/ha (nel caso di scarsa riserva idrica per limitate piogge autunno-invernali o per scarsa capacità di invaso del terreno).

Il volume di adacquamento può essere variabile tra 400 m3/ha (terreni sciolti e poco profondi) e 800 m3/ha (terreni argillosi ben strutturati e profondi).

Tuttavia, qualora fosse necessario un regime irriguo più regolare a causa della scarsa riserva idrica del terreno (terreno sciolto e/o superficiale), è consigliabile l’impiego dell’irrigazione a goccia con volumi di adacquamento pari a 250-300 m3/ha.

In ogni caso è opportuno sospendere le adacquate almeno dieci giorni prima della raccolta per ottenere frutti di migliore qualità e conservabilità, soprattutto per i meloni d'inverno (gruppo inodorus).

 

Gestione della flora infestante

Le infestanti che è possibile trovare più frequentemente nelle colture di melone sono:

Chenopodium spp., Amaranthus spp., Polygomum spp. Portulaca oleacea . L , Solanum nigrum L., Setaria spp., Digitaria sanguinalis . L,  Cyperus spp.

Generalmente, la maggiore sensibilità verso la presenza di flora avventizia è mostrata dalla coltura nei primi due mesi di coltivazione; successivamente e, in particolare sulla fila, la coltura riesce a controllare agevolmente la crescita e lo sviluppo della maggior parte delle infestanti.

In ogni caso, al fine di evitare lo sviluppo incontrollato della flora avventizia, oltre che tutte le pratiche preventive che normalmente si devono utilizzare, molta importanza assume la rotazione.

Riguardo poi alle tecniche adottabili per il controllo diretto delle infestanti, si segnalano:

-         la sarchiatura: tale pratica è particolarmente agevole per la coltura del melone, data la presenza di interfile abbastanza ampie;

-         la pacciamatura.

Di seguito si riporta un possibile programma di controllo della flora infestante:

-         prima di trapiantare attuare la falsa semina;

-         nella preparazione dell’impianto prevedere la pacciamatura sulla fila e l’installazione, in caso di coltura irrigua, di un impianto localizzato a microportata di erogazione;

-         dopo il trapianto evitare, in particolare per i primi due mesi, la crescita di flora avventizia, effettuando una o due sarchiature.

Estrema rivelanza assume il problema della presenza di Cyperus spp., infestante particolarmente dannosa per tutte le colture orticole e quindi anche per il melone.

Il controllo di tale specie attraverso la pacciamatura o le sarchiature è praticamente impossibile. Pertanto, in caso di terreni infestati da Cyperus, la coltivazione del melone deve essere evitata.

Per questa coltura è consigliabile l'impiego della pacciamatura per una serie di vantaggi:

-         anticipo della raccolta di qualche giorno;

-         controllo delle infestanti (soprattutto con film scuro);

-         riduzione dei consumi idrici;

-         miglioramento delle condizioni fisiche delle zone di terreno superficiali (aerazione, bilancio termico, permeabilità);

-         eliminazione della sarchiatura che distruggerebbe le radici più superficiali;

-         ottenimento di frutti puliti con minore percentuale di marciumi migliorando anche la conservabilità di frutti della varietà inodorus.

I film da impiegare possono essere:

-         il polietilene (PE) fumé per colture semiforzate in grado di garantire un buon riscaldamento del terreno e una sufficiente protezione dalle infestanti;

-         il polietilene nero consigliato solo per coltivazioni tardive e/o per quei terreni leggeri che si riscaldano facilmente.


Raccolta
La durata del ciclo colturale è molto variabile in relazione alla cultivar impiegata, alle condizioni pedoclimatiche ed alle tecniche colturali.

Il momento ottimale per la raccolta dei meloni retati, viene solitamente individuato saggiando il distacco del frutto dal peduncolo che, a maturazione, viene facilitato dalla formazione di un tessuto di separazione.

In media, la raccolta inizia 90-95 e 105 giorni dopo la semina, rispettivamente per i meloni retati, cantalupi ed invernali.

La raccolta è scalare e il periodo è più breve per i retati ed i cantalupi (10-15 giorni), più lungo per i meloni invernali (oltre 30 giorni).

Le operazioni di raccolta è consigliabile eseguirle al mattino presto, quando la temperatura dei frutti è bassa.

Ciò favorisce una migliore conservabilità e resistenza alle ammaccature ed eventualmente una riduzione dei costi di prerefrigerazione.

La raccolta deve essere eseguita ad un grado di maturazione differente in relazione al gruppo di appartenenza ed alla destinazione del prodotto.

Se i frutti devono esser consumati entro 2-3 giorni, si possono raccogliere allo stadio ottimale di maturazione; per quelli da consumare dopo 7-15 giorni bisogna anticipare necessariamente tale stadio di qualche giorno; quelli invernali destinati al consumo dopo 3-5 mesi è necessario raccoglierli 10-20 giorni prima della maturazione completa.

L'individuazione del momento di raccolta deve basarsi sulle seguenti osservazioni morfologiche dei frutti e/o delle piante, differenti per i diversi gruppi:

-         nei retati, distacco del peduncolo dal frutto su cui rimane una cicatrice un po’ infossata di forma quasi circolare;

-         sui cantalupi e sugli invernali, comparsa di screpolature circolari intorno al peduncolo, variazione del colore del frutto, scomparsa della peluria e formazione di pruina cerosa;

Spesso si nota un rammollimento dei tessuti nella zona di inserzione del perianzio, un cambiamento di colore nella porzione di frutto che poggia sul terreno, la comparsa di screpolature longitudinali nella zona di attacco del peduncolo, la scomparsa di peluria dal peduncolo, il disseccamento di quest'ultimo e del cirro più vicino al frutto, l'avvizzimento della prima foglia al di sopra del frutto.

Nelle cultivar a maturazione lenta, dette anche a lunga conservazione (LSL) e di recente introduzione nel commercio, la raccolta si deve effettuare con il peduncolo attaccato.

Le produzioni areiche ottenibili in pien'aria sono variabili in relazione alla cultivar, all'andamento climatico ed alle tecniche impiegate (irrigazione, fertilizzazione, ecc.).

In media, in irriguo possono ottenersi produzioni di 20-35 t/ha, in asciutto l'entità delle produzioni è molto legata alla riserva idrica del terreno; in tali condizioni le riduzioni produttive sono conseguenti soprattutto ad una riduzione di pezzatura.

 

Altre operazioni colturali

Nel corso del ciclo colturale del melone allevato in pien'aria può essere utile l'esecuzione della potatura verde per favorire un più ordinato accrescimento degli steli secondari che entrano in competizione con l'accrescimento dei frutti e per migliorarne la precocità, la produzione e la qualità.

Tale intervento è suggerito dal fatto che nella maggior parte delle cultivar la fruttificazione avviene sui rami secondari.

La cimatura prevede il taglio dell'asse principale al di sopra della 2ª-3ªfoglia, allo stadio vegetativo di 3-4 foglie vere. Si favorisce, così, l'anticipata emissione di 1-3 steli primari di cui bisogna lasciarne due che, successivamente, vengono cimati a 6-8 foglie. Infine, gli steli secondari si cimano a 1-2 foglie sopra il primo o secondo frutto, non appena si è certi dell'avvenuta allegagione (frutti con dimensioni di una grossa noce).

Questo tipo di operazione colturale è particolarmente utile in coltivazione biologica per il duplice effetto di ridurre la durata del ciclo colturale e la superficie fogliare, con conseguente risparmio d'acqua.

L'impiego degli agrotessili come il tessuto non tessuto (TNT), è utile per migliorare il bilancio termico, ridurre l'evapotraspirazione, ed offrire una protezione contro gli afidi spesso vettori di virus. Il TNT va poggiato direttamente sul terreno dopo la semina o sopra le piantine dopo il trapianto, e va rimosso prima della comparsa dei primi fiori.

 

Avversità
Il melone può essere interessato da attacchi di diversi parassiti animali e vegetali e risulta suscettibile alle avversità atmosferiche (ghiaccio e brina).

Le avversità di natura parassitaria comprendono:

Crittogame:

-         tracheomicosi (Fusarium , Verticillium dahliae);

-         oidio (Erysiphe cichoracearum f.sp. cucurbitae, Sphaeroteca fuliginea);

-         cladosporiosi (Cladosporium cucumerinum);

-         antracnosi (Colletotrichum lagenarium);

-         sclerotinia (Sclerotinia fuckeliana e S. sclerotiorum);

-         peronospora (Pseudoperonospora cubensis);

-         muffa grigia (Botrytis cinerea spp.);

-         cancro gommoso (Didymella bryoniae).

Batteriosi:

-         maculatura angolare (Pseudomonas syringae pv. lachrymans);

-         marciume molle (Erwinia carotovora var. carotovora.

Virus:

-         virus del mosaico del cetriolo (CMV);

-         virus 2 del mosaico del cocomero (WMV-2);

-         virus del mosaico giallo dello zucchino (ZYMV);

-         virus della picchiettatura gialla dello zucchino (ZYFV);

Parassiti animali:

-         afidi (afide delle cucurbitacee) (coccinella del melone, elateridi);

-         coleotteri;

-         acari;

-         nematodi;

 

Tra le avversità di natura non parassitaria:

-         ingrossamento dell'ipocotile;

-         marciume apicale;

-         cascola dei frutti;

-         spaccature dei frutti.