Cocomero

Origine e diffusione

Il cocomero, Citrullus lanatus (Thunberg) Matsumura et Nakai, è una pianta originaria dell’Africa tropicale e sub-tropicale, ma si ritiene che le cultivar oggi utilizzate siano originarie dell’India.

I maggiori produttori sono la Cina, la Turchia, l’Iran, l’U.S.A. e l'Egitto.L'Italia si colloca all'undicesimo posto a livello mondiale, destinando alla coltivazione del cocomero circa 20.000 ha.

L'86 per cento della produzione è concentrata nelle seguenti regioni: Emilia-Romagna (19 per cento), Puglia (19 per cento), Lazio (18 per cento), Sicilia (13 per cento), Lombardia (12 per cento) e Veneto (5 per cento).

A causa dei maggiori prezzi realizzabili dalle produzioni precoci, la coltura tende sempre più a meridionalizzarsi; infatti, al nord è localizzato solo il 40 per cento della superficie nazionale. I primi raccolti al sud avvengono già dai primi di giugno ponendosi in diretta concorrenza con le produzioni precoci greche e spagnole.

Il cocomero appartiene alla famiglia delle Cucurbitacee; è una pianta erbacea annuale con radice fittonante e con molte radici laterali superficiali.

Possiede un fusto ramificato e strisciante, lungo anche diversi metri e munito di cirri.

Le foglie sono molto grandi palmato-lobate e provviste di una fitta peluria.

Sulla stessa pianta sono presenti i fiori maschili e quelli femminili; i fiori maschili compaiono prima dei femminili e sono più numerosi.

L’impollinazione è entomofila ed avviene prevalentemente per mezzo delle api; il frutto è un peponide che raggiunge la maturità dopo 30-50 giorni dalla fecondazione e può avere forme diverse (dalla sub-sferica alla cilindrica) in relazione alla cultivar, e peso variabile da 2 ad oltre 20 Kg. La parte edule deriva dalla placenta e può essere di colore dal giallo chiaro fino al rosso scuro in relazione alla cultivar.

 

La specie si ad atta bene ai diversi tipi di terreni ma preferisce i suoli alluvionali, profondi e ricchi di sostanza organica decomposta.

L’aspetto di primaria importanza è costituito dall’esigenza di avere un buon drenaggio del terreno. Il cocomero è una pianta dotata di un apparato radicale capace di approfondirsi notevolmente nel terreno (fino a 2 m), per cui si deve disporre di una profondità utile di almeno 60-80 cm.

Essendo originaria dei Paesi caldi è una specie termofila; preferisce un clima temperato caldo ma non necessariamente umido.

Lo zero di vegetazione è compreso tra i 12 e i 15 °C, la temperatura minima letale è di -2 °C. l’optimum di vegetazione si realizza con temperature diurne di 25-30 °C e notturne di 15-20 °C.

Negli ambienti meridionali la coltura si effettua in aree dove è possibile praticare tempestive irrigazioni di soccorso, onde evitare l’alternanza tra situazioni di stress o di eccesso idrico.

Il cocomero è una coltura da rinnovo e può essere inserita sia in apertura di una rotazione e sia dopo aver coltivato frumento o foraggiere.

In ogni caso, non deve ritornare sullo stesso appezzamento prima che siano trascorsi diversi anni perché è molto sensibile agli attacchi di verticillosi e fusariosi.

 

Esigenze pedoclimatiche

Le regioni italiane più importanti per la coltivazione in pien'aria sono nell’ordine: Emilia-Romagna (22 per cento), Puglia (19 per cento), Lazio (16 per cento), Sicilia (14 per cento), Lombardia (12 per cento) e Veneto (5 per cento).

Prima di realizzare la coltura bisogna sempre verificare che l'area interessata all'impianto sia idonea dal punto di vista pedoclimatico.

Infatti, per vocazionalità pedoclimatica, si intende l'insieme delle caratteristiche che caratterizzano il luogo ottimale per la produzione di una coltura.

Il cocomero è una specie non particolarmente esigente nei confronti del tipo di terreno. Preferisce i terreni alluvionali, profondi e ricchi di sostanza organica ben decomposta e con pH conpreso tra 5 e 7,5 (il valore ottimale è intorno a 6,5).

Comunque, si adatta anche ai terreni di medio impasto, organici, sciolti ma anche compatti e argillosi, purché siano profondi, freschi e permeabili.

Un aspetto di primaria importanza è quello di realizzare e assicurare nel tempo un buon drenaggio.
La specie risulta moderatamente tollerante la salinità del terreno: si ottengono ottime produzioni con la salinità del terreno di 3 dSm-1.

Essendo una specie originaria dei paesi caldi esige un clima temperato caldo. La temperatura minima letale è di -2 °C, mentre lo zero di vegetazione è compreso tra 12 e 15 °C.

I valori termici diurni ottimali di vegetazione sono compresi tra 25 e 30 °C, quelli notturni tra 15 e 20 °C.

La temperatura ottimale di germinazione è compresa tra 20 e 26 °C; la germinazione al buio inizia a 15°C, a 20°C avviene in 15 giorni, a 30 °C in 5 giorni; alla luce, con temperature inferiori a 20 °C non germina.

La temperatura ideale per la fioritura e l’allegagione è di 23-25 °C. I valori massimi biologici sono compresi a seconda delle cultivar tra 35 e 37 °C.

Necessita di una elevata intensità luminosa e un fotoperiodo superiore o pari a 14 ore; in queste condizioni aumenta il numero di getti laterali che porteranno i fiori; con giorni più corti di 14 ore e bassa intensità luminosa aumenta il numero di frutti allegati che però avranno minore pezzatura.

In zone soggette a venti forti le coltivazioni sono sconsigliate perché le piante possono subire danni meccanici con ripercussioni sulla produzione.


Rotazione
La rotazione colturale è una pratica indispensabile che permette:

-         di evitare i fenomeni di "stanchezza del terreno";

-         di conservare ed aumentare la fertilità del terreno;

-         di influenzare favorevolmente la struttura del terreno;

-         di impedire il diffondersi incontrollato di infestanti e parassiti;

-         di gestire la risorsa idrica naturalmente disponibile.

Questa pratica agronomica deve prevedere specie, anche non orticole, che migliorano la fertilità del terreno, che non ospitano gli stessi parassiti e che competono con le infestanti.

A tal riguardo è indispensabile inserire nella rotazione agraria le leguminose e le graminacee. Ottimi risultati produttivi e qualitativi si ottengono quando il cocomero, pianta da rinnovo, succede alla medica o ai cereali, viceversa, è sconsigliabile la successione ai legumi, all’aglio, alla cipolla, alle solanacee e alle cucurbitacee.

E' opportuno non far ritornare la coltura sullo stesso appezzamento prima di 5-6 anni, ma in presenza di tracheomicosi (Fusarium oxysporum f. sp. niveum, e Verticillium dahliae) si consiglia di far ritornare il cocomero sullo stesso appezzamento dopo aver trascorso un tempo molto più lungo (8-10 anni) e di utilizzare cultivar tolleranti o resistenti.

Per sfuggire a tali patologie, oggi è possibile impiegare le piantine innestate.

 

Scelta delle cultivar

La scelta delle cultivar rappresenta un momento molto importante per raggiungere un buon livello di produzione sia quantitativo che qualitativa ed è strettamente correlata alle condizioni pedoclimatiche della zona di coltivazione, alla tolleranza/resistenza alle avversità biotiche ed abiotiche e alle caratteristiche merceologiche richieste dal mercato.
Pertanto è indispensabile conoscere:

-         l’adattamento delle cultivar all'ambiente (rusticità);

-         le produzioni ottenibili nella zona;

-         la tolleranza o la resistenza alle malattie (avversità biotiche);

-         la tolleranza o la resistenza alle avversità abiotiche;

-         le caratteristiche merceologiche richieste dal mercato.

Le cultivar utilizzabili nelle aziende biologiche sono: Crimson Sweet, Paladin, Madera.
Crimson Sweet è una cultivar estremamente versatile nelle modalità di coltivazione, conserva caratteristiche organolettiche (dolcezza) e merceologiche (durezza della corteccia) che la rendono ancora molto apprezzata.

Paladin è una cultivar ibrida della tipologia Crimson, estremamente tollerante a fusariosi ed antracnosi grazie alla sua vigoria e all'accrescimento dell'apparato radicale che ha un'elevata capacità di rigenerare nuove radici in sostituzione di quelle morte.

Madera è una altra tipologia di cocomero tipo Crimson che consente di realizzare la coltivazione del cocomero anche in coltura protetta.

In comprensori, dove esistono cultivar locali di provata adattabilità alle condizioni ambientali, ne è consigliabile l’impiego.

Infatti, queste ultime, frutto della selezione massale fatta dall’uomo nel corso degli anni, sono più rustiche, più confacenti al micro-clima, e forniscono produzioni più costanti e con particolari caratteristiche organolettiche.

 

Impianto
Il cocomero possiede un apparato radicale che si approfondisce notevolmente fino a raggiungere anche i due metri di profondità.

Le lavorazioni principali vanno pertanto effettuate in modo da sfruttare favorevolmente questa caratteristica, molto importante per la nutrizione e l'approvvigionamento idrico, facilitando le tecniche di aridocoltura.

Normalmente, se non subentrano esigenze particolari, l’aratura classica può essere sostituita dalla scarificatura ad una profondità massima di 40 cm.

Tale operazione va effettuata prima delle prime piogge autunnali con terreno il più possibile asciutto lungo tutto lo strato da lavorare e per favorire la frattura degli strati compatti; così operando, infatti, non si formeranno solo delle fessure verticali, ma si sgretolerà anche il terreno delle parti laterali a quelle dell’organo scarificatore.

In ogni caso la lavorazione preparatoria principale è consigliabile eseguirla prima dell'autunno per favorire l'immagazzinamento di una maggiore quantità di acque meteoriche nello strato di terreno esplorabile dalle radici.

Qualora il cocomero venisse preceduto da una coltura a ciclo autunno-vernino la lavorazione principale dovrebbe precedere tale coltura effettuando per il cocomero, invece, un'aratura più superficiale (20 cm).

Al fine di preservare quanto più possibile la struttura e la fertilità del terreno, poco prima della semina o del trapianto bisogna effettuare un’erpicatura leggera, tenendo presente che non occorre affinare molto il terreno. Infatti, nella generalità dei casi la coltura deve essere trapiantata e, anche se venisse effettuata la semina, le dimensioni dei semi sono tali da non richiedere un eccessivo affinamento del terreno.

Prima della semina o del trapianto il terreno può essere sistemato in piano o a porche.

In quest’ultimo caso i semi o le piantine saranno disposti in un solchetto realizzato al centro della porca

Il cocomero può essere seminato direttamente in campo, oppure può essere trapiantato allo stadio di 3-4 foglie utilizzando piantine con pane di terra.
Tra le due tecniche, il trapianto presenta i vantaggi di:

-         sfuggire con più facilità all'azione competitiva delle infestanti e ad eventuali patogeni e parassiti tellurici;

-         evitare le operazioni di diradamento delle piantine;

-         evitare le fallanze;

-         poter utilizzare piante innestate;

-         ridurre il tempo di occupazione del campo ed i consumi idrici.


La semina in campo avviene quando la temperatura del terreno supera i 15 °C ponendo a dimora in una postarella 3-5 semi.

Successivamente si provvede al diradamento lasciando 2-3 piantine per postarella, in seguito si alleverà un’unica pianta.

Nel caso di trapianto, è necessario che le piantine impiegate abbiano il pane di terra poiché la rottura delle radici provoca l'emissione di sostanze cicatrizzanti che ostacolano l'assorbimento idrico e, quindi, l'attecchimento.

Per la produzione delle piantine si possono utilizzare vasetti (7-9 cm di diametro) o contenitori alveolati con terriccio abbastanza leggero.

Per assicurare il regolare accrescimento delle piantine e quindi anche buone condizioni vegetative e produttive per tutto il ciclo colturale, una regola generale è quella di mantenere, durante le prime fasi di crescita in vivaio, il substrato ad una temperatura pari o leggermente superiore a quella ambientale; in seguito, la temperatura dovrà essere inferiore ai 18 °C a livello dell’apparato radicale e di 20-22°C nell’ambiente della serra.

Questo modo di procedere eviterà la crescita troppo accelerata delle piantine che è spesso causa del fenomeno della "filatura" che si manifesta con fusti esili e, complessivamente, maggiormente suscettibili alle varie avversità.

Inoltre, circa una settimana prima del trapianto, si deve iniziare un regolare abbassamento della temperatura all’interno della serra, al fine di far acclimatare gradatamente le piantine alle condizioni di pien'aria.

Durante tutto il periodo di allevamento in vivaio, è opportuno razionalizzare le adacquate allo strettissimo necessario per cercare di "indurire" le piantine che, in pien'aria, sopporteranno meglio situazioni di disponibilità idrica limitata.

La densità di piante, sia con semina diretta che con trapianto, cambia a seconda delle dimensioni che possono assumere le piante delle diverse cultivar.

Normalmente in coltivazione biologica la densità di piante può variare da 0,4-0,6 piante/m2 , con distanza tra le file di 150 cm e sulla fila di 100-150 cm.

Nel caso della semina diretta si possono utilizzare 4-5 semi per postarella.

Con il diradamento, da eseguire 7-10 giorni dopo l'emergenza, saranno eliminate le piante meno vigorose lasciando 1 o 2 piante per postarella. In questo ultimo caso, tra le postarelle, saranno impiegate le distanze più elevate.

In ogni caso, le distanze più elevate saranno impiegate per le cultivar che assumono maggiori dimensioni. Questa densità permette di ridurre al minimo la competizione tra le piante oltre al fatto che riduce il fabbisogno irriguo e nutrizionale complessivo della coltura.

In terreni particolarmente fertili e con una buona riserva idrica, si può aumentare leggermente la densità e questo permette di gestire più agevolmente le infestanti tra le file della coltura che, in questo caso, ricoprirebbe in maniera molto fitta il terreno togliendo luce e spazio alla crescita.

L’impianto della coltura si effettua quando non si temono più gelate tardive e quando la temperatura del terreno si è stabilizzata intorno a 12-15 °C. essendo il cocomero una coltura con elevate esigenze termiche, temperature più basse possono causare arresti vegetativi dannosi alla buona riuscita della coltura.

Il trapianto si esegue a partire dalla fine aprile. Le piantine provenienti dal vivaio sono allevate nei contenitori alveolari ed in 30-40 giorni raggiungono lo stadio utile per il trapianto (3-4 foglie).

 

Gestione della fertilità

La gestione della fertilità nella coltura del cocomero, così come per tutte le altre colture, deve perseguire come obiettivo principale la conservazione delle potenzialità naturali del terreno.

Per fare questo, è importante inserire il cocomero in una rotazione che tenga conto in modo razionale ed opportuno delle esigenze nutrizionali di tutte le colture che si è programmato di effettuare.

Per produrre 1 t di frutti, in media, il cocomero asporta: 1,7 Kg di N, 1,3 Kg di P2O5, 2,7 Kg di K2O, 0,7 Kg di MgO; pertanto, con una produzione di 25 t/ha le asportazioni ammontano a:

 

Produzione (t/ha)

Elementi (Kg/ha)

N

P2O5

K2O

MgO

25

43

33

68

18

 

Ovviamente ciò non significa che queste rappresentano le quantità di elementi da somministrare al terreno.

Per assicurare la conservazione della fertilità chimico-fisica del terreno è utile la somministrazione di materia organica, ad esempio sotto forma di letame, nel periodo autunnale prima delle lavorazioni principali, oppure attraverso il sovescio di leguminose coltivate durante l'autunno inverno che precede la coltura del cocomero.

In tal modo viene assicurato, oltre all'apporto diretto di nutrienti, anche una migliore efficienza nel loro assorbimento.

E' da tenere presente che, dato l'elevato approfondimento radicale, questa specie può sfruttare le risorse nutrizionali presenti negli strati di terreno normalmente non esplorati dagli apparati radicali di altre specie inserite nella rotazione e, quindi, riportare in superficie elementi nutritivi eventualmente dilavati in profondità

 

Gestione delle risorse idriche

In ragione dell’apparato radicale particolarmente profondo il cocomero può essere coltivato in pien’aria senza l’ausilio di apporti irrigui regolari, qualora venga impiantato su terreni profondi che consentono di sfruttare questa caratteristica della specie.

Spesso, è necessaria un'adacquata al momento del trapianto per favorire l'attecchimento delle piantine.

In questo caso, anche se il terreno si presenta con una buona umidità, è utile umettare la sola zona in cui è stata adagiata la piantina in modo da favorire la migliore adesione delle particelle terrose al pane di terra e, quindi, la fuoriuscita delle radici da quest'ultimo.

Per limitare gli interventi irrigui in questa prima fase del ciclo colturale, soprattutto in presenza di terreni argillosi ed in assenza di pacciamatura, è utile eseguire una zappettatura molto superficiale in prossimità delle piantine 1-2 giorni dopo l'adacquata, apportando al di sopra della zona umettata un sottile strato di terreno asciutto; in tal modo si crea uno strato pacciamante che evita l'evaporazione, la formazione della crosta superficiale e la crepacciatura del terreno.

In caso di semina diretta, se il terreno è ben umido e la temperatura dell'aria sufficientemente alta da favorire una rapida germinazione, può non essere necessario irrigare dato il rapido approfondimento della radichetta.

Se, invece, il terreno non presenta un'umidità sufficiente a garantire una regolare germinazione ed emergenza delle piantine e non si prevedono piogge a breve termine, per evitare ritardi e non contemporaneità dell'emergenza, è sufficiente umettare abbondantemente la postarella in cui subito dopo saranno adagiati i semi e ricoprirli con un sottile strato (1-2 centimetri) di terreno asciutto che assume una funzione pacciamante.

Per sfruttare le buone capacità adattative di questa specie ad un regime idrico carenzato senza limitazioni produttive considerevoli, è necessario assicurare una buona riserva idrica lungo il profilo di terreno profondo oltre 2 metri.

Ciò si ottiene attraverso l'esecuzione della discissura o dell'aratura profonda prima delle piogge autunnali in modo da migliorare la struttura del terreno, favorire l'infiltrazione delle acque meteoriche senza perdite per ruscellamento superficiale ed aumentare la capacità d'invaso del terreno.

Per la riduzione delle perdite di acqua per evaporazione è utile l'impiego della pacciamatura, oppure l'esecuzione di 1-2 sarchiature prima che la crescita delle piante interessi l'interfila.

Con la sarchiatura si ottiene anche il vantaggio dell'eliminazione delle infestanti appena emerse che altrimenti concorrerebbero al consumo idrico.

Un altro fattore da tenere in considerazione nella gestione delle risorse idriche è la densità di piante in relazione alla diversa riserva idrica che possono presentare i terreni al momento dell'impianto sia per le caratteristiche intrinseche di questi ultimi (tessitura, struttura, profondità) che per l'entità delle precipitazioni della stagione autunno-invernale.

In ogni caso è sempre consigliabile limitare la densità per ridurre al minimo la necessità di interventi irrigui di soccorso.

Questi ultimi, in caso di stagione particolarmente siccitosa, bisogna avere cura di eseguirli nella fase di ingrossamento dei frutti; di solito possono essere sufficienti 2-3 interventi con elevato volume di adacquamento (400-700 m3/ha).

Il metodo irriguo consigliabile può essere quello per aspersione o localizzato a bassa pressione (goccia).

Il primo è da impiegare quando si effettuano solo adacquate di soccorso; il secondo è da usare quando si prevedono adacquate più frequenti necessarie per i terreni aventi una limitata riserva idrica (terreni sciolti, poco profondi, scarsità di precipitazioni invernali) e quando viene impiegata la pacciamatura.

Questa specie risulta moderatamente tollerante la salinità.

L’entità dei consumi idrici del cocomero è variabile in relazione all’andamento meteorico, alla durata del ciclo colturale, alla superficie fogliare, alle agrotecniche impiegate (densità, modalità di impianto, pacciamatura, sarchiatura, regime idrico).

Negli ambienti meridionali, in media, possono ottenersi consumi idrici variabili tra 3.000 e 6.000 m3/ha. Tuttavia, in una gestione biologica della coltura, adoperando le tecniche che mirano alla riduzione dei consumi idrici, questi ultimi possono attestarsi su valori di 3-4.000 m3/ha.

Gli interventi irrigui, generalmente a carattere di soccorso, è comunque necessario eseguirli alla semina e/o trapianto (localizzati) con 3-5 litri per pianta o postarella (20-50 m3/ha) e quando viene consumata il 60-70 per cento dell’acqua disponibile nell’ambito della zona maggiormente esplorata dalle radici (fino a 70 cm di profondità).

In ogni caso, l’attingimento idrico da parte delle radici, anche dagli strati profondi oltre i 70 cm, può garantire alla pianta un rifornimento idrico sufficiente senza determinare riduzioni produttive considerevoli.

Bisogna in ogni caso curare un rifornimento idrico più costante nella fase di ingrossamento dei frutti. In questa fase, infatti, i frutti possono andare incontro alla manifestazione del marciume apicale che può presentarsi maggiormente con elevate temperature, bassa umidità relativa dell’aria, elevata ventosità e disponibilità idrica insufficiente.

I volumi stagionali d’irrigazione possono aggirarsi tra 1.200 (nel caso di riserva idrica elevata all’inizio della coltura) e 2.500 m3/ha (nel caso di scarsa riserva idrica per limitate piogge autunno-invernali o per scarsa capacità di invaso del terreno).

Il volume di adacquamento può essere variabile tra 400 m3/ha (terreni sciolti e poco profondi) e 700 m3/ha (terreni argillosi ben strutturati e profondi).

Tuttavia, qualora fosse necessario un regime irriguo più regolare a causa della scarsa riserva idrica del terreno (terreno sciolto e/o superficiale), è consigliabile l’impiego dell’irrigazione a goccia con volumi di adacquamento pari a 250-300 m3/ha.

 

Gestione della flora infestante

Le infestanti che è possibile trovare più frequentemente nelle colture di cocomero sono: Chenopodium spp., Amaranthus  spp., Polygonum spp., Portulaca oleracea L., Solanum nigrum L., Echinochloa crus-galli (L.) P.B., Setaria spp., Digitaria sanguinalis Scop., Cyperus spp..

Generalmente, la maggiore sensibilità verso la presenza di flora avventizia è mostrata dalla coltura nei primi due mesi di coltivazione; successivamente e, in particolare sulla fila, la coltura riesce a "soffocare" agevolmente la crescita della maggior parte delle infestanti.

In ogni caso, al fine di evitare uno sviluppo incontrollato della flora avventizia, oltre che tutte le pratiche preventive che normalmente si devono utilizzare, molta importanza assumono le rotazioni.

Riguardo poi alle tecniche adottabili per il controllo diretto delle infestanti, si segnalano:

-         la sarchiatura: tale pratica è particolarmente agevole per la coltura del cocomero, data la presenza di interfile abbastanza ampie

-         la pacciamatura.

Di seguito si riporta un possibile programma di controllo della flora infestante:

-         prima di trapiantare attuare la falsa semina;

-         nella preparazione dell’impianto prevedere la pacciamatura sulla fila e l’installazione, in caso di coltura irrigua, di un impianto localizzato a microportata di erogazione;

-         dopo il trapianto evitare, in particolare per i primi due mesi, la crescita della flora avventizia, effettuando una o due sarchiature.

Molta importanza assume il problema della presenza di Cyperus spp., infestante particolarmente dannosa per tutte le colture orticole e quindi anche per il cocomero.

Il controllo di tale specie attraverso la pacciamatura o le sarchiature è praticamente impossibile. Pertanto, in caso sorga il problema, la coltura del cocomero deve essere evitata.


Per questa coltura è consigliabile l'impiego della pacciamatura per una serie di vantaggi:

-         anticipo della raccolta di qualche giorno;

-         controllo delle infestanti (soprattutto con film scuro);

-         riduzione dei consumi idrici;

-         miglioramento delle condizioni fisiche delle zone di terreno superficiali (aerazione, bilancio termico, permeabilità);

-         eliminazione della sarchiatura che distruggerebbe le radici più superficiali;

-         ottenimento di frutti puliti con minore percentuali di marciumi.

I film da impiegare possono essere:

-         il polietilene (PE) fumé per colture semiforzate in grado di garantire un buon riscaldamento del terreno e una sufficiente protezione dalle infestanti;

-         il polietilene nero consigliato solo per coltivazioni tardive e/o per quei terreni leggeri che si riscaldano facilmente.

 

Raccolta
A causa della notevole scalarità di fioritura, anche la maturazione dei frutti e, quindi, la raccolta sono scalari. In genere sono necessari 2-4 passaggi con intervalli settimanali.

La maturazione avviene generalmente 35-50 giorni dopo l’antesi, in relazione alle condizioni ambientali ed alla cultivar. In generale le prime raccolte avvengono dopo 80-100 giorni dal trapianto.

Per stabilire il momento della raccolta bisogna porre attenzione ad una serie di indicatori:
la zona del frutto che poggia sul terreno cambia di colore virando al giallo;

-         il peduncolo appassisce e diminuisce di pelosità;

-         scompare la pruina cerosa che ricopre il peponide;

-         si ha un leggero rammollimento della zona apicale;

-         battendo il frutto con le nocche delle dita si ottiene un suono cupo e sordo;

-         il cirro che si trova sul fusto, in prossimità del peduncolo, va incontro ad imbrunimento.

A maturazione il peduncolo non si distacca dal frutto, pertanto è conveniente reciderlo con una forbice o un coltello.

Le produzioni che possono ottenersi variano da 30 a 90 t/ha; tuttavia, nelle coltivazioni biologiche le produzioni ottenibili possono variare tra 20 e 50 t/ha.

Il contenuto di solidi solubili al centro dei frutti può superare il 14 per cento, quando raggiunge, però, il 10 per cento il frutto viene considerato dolce al palato ed è ritenuto buono.

 

Aspetti qualitativi

Del cocomero è noto il valore dissetante della polpa a causa dell’elevato contenuto di acqua (oltre il 90 per cento).

Manifesta un basso valore calorico (30 Kcal/100 g) e un buon contenuto zuccherino la cui concentrazione e composizione può variare con la cultivar ed il grado di maturazione. Ha un basso contenuto di grassi ed è ben dotato di potassio.

La porzione edule costituisce circa il 50 per cento del peso del frutto.

L’ottima qualità del cocomero viene determinata soprattutto dal contenuto zuccherino, dal colore rosso o giallo intenso e dalla croccantezza della polpa.

Queste caratteristiche dipendono dal grado di maturazione e dalla cultivar.

Esiste una correlazione positiva tra sapore e contenuto di solidi solubili.

Gli zuccheri maggiormente presenti sono, in ordine decrescente: fruttosio, saccarosio e glucosio, ma la quantità ed il periodo della loro comparsa deriva dal grado di maturazione e dalla cultivar.

La conservazione non deve essere fatta a temperature inferiori a 7-8 °C; infatti, a temperature inferiori a 10 °C il colore della polpa tende a sbiadire; la conservazione a temperatura ambiente, invece, tende a favorire il miglioramento del colore e del sapore della polpa.

Pertanto, se la conservazione prevista è di 15 giorni, è utile mantenere la temperatura a 15°C; se si prevede un periodo più lungo è meglio abbassare la temperatura a 10-11 °C con umidità relativa di 80-90 per cento.

La conservazione per 2-3 mesi determina comunque uno scadimento qualitativo.

Per facilitare la conservazione è utile maneggiare con cura i frutti durante le operazioni di raccolta, soprattutto al primo mattino, quando questi sono ancora freschi.

 

Altre operazioni colturali

Nel corso del ciclo colturale del cocomero, allevato in pien'aria, può essere utile l'esecuzione della potatura verde per favorire un più ordinato accrescimento degli steli secondari che entrano in competizione con l'accrescimento dei frutti e per migliorarne la precocità, la produzione areica e la qualità.

La cimatura prevede il taglio dell'asse principale al di sopra della 2ª-3ª foglia, allo stadio vegetativo di 4-5 foglie.

Si favorisce, così, l'anticipata emissione dei getti laterali che daranno origine ai fusti che porteranno i frutti; a volte, anche questi fusti vengono cimati quando raggiungono la lunghezza di 30-40 cm.

Talvolta viene effettuato anche il diradamento dei frutticini lasciandone 3-4 per pianta onde assicurare una migliore e più uniforme pezzatura.

Questo tipo di operazione generalmente viene eseguita solo per piccole superfici a causa dei costi di manodopera richiesti; tuttavia, può risultare vantaggiosa per la coltivazione biologica per il duplice effetto di ridurre la durata del ciclo colturale e la superficie fogliare, con conseguente risparmio d'acqua.

Per migliorare il bilancio termico, ridurre l'evapotraspirazione ed offrire una protezione contro gli afidi spesso vettori di virus, risulta utile l'impiego del tessuto non tessuto (TNT) che va poggiato direttamente sul terreno, dopo la semina o sopra le piantine dopo il trapianto, e rimosso prima della comparsa dei primi fiori.

 

Avversità
Diverse sono le avversità che interessano la coltura del cocomero.

Per i danni ascrivibili ai fattori ambientali, in qualche zona dell'Italia meridionale può destare preoccupazione il marciume apicale.

La coltura è particolarmente suscettibile ai ristagni d'acqua e alle gelate tardive, particolarmente temuti sono i danni da grandine.


Le avversità di natura parassitaria comprendono:

Crittogame:

-         tracheomicosi (Fusarium oxysporum, Verticillium dahliae);

-         cladosporiosi (Cladosporium cucumerinum);

-         antracnosi (Colletotrichum lagenarium);

-         peronospora (Pseudoperonospora cubensis).


Virus:

-         virus 2 del mosaico del cocomero (WMV-2);

-         virus del mosaico giallo dello zucchino (ZYMV).


tra i parassiti animali

-         afidi (afide delle cucurbitacee);

-         coleotteri (coccinella del melone, elateridi);

-         acari (ragnetto rosso comune ).

-         nematodi.

 

Tra le avversità di natura non parassitaria:

-         marciume apicale.