Cavolfiore

Origine e diffusione

Il cavolfiore è una coltura annuale specializzata, talvolta è consociata ai fruttiferi o all’olivo, specie se per la coltura arborea è stato adottato un ampio sesto d'impianto.

Richiede un clima mite, ma temperature fino a - 3 °C non producono danni sostanziali nella fase vegetativa; sui corimbi, invece, soprattutto se ben sviluppati e non più protetti dalle foglie, temperature anche di poco inferiori a 0 °C possono produrre danni gravi.

Per il passaggio dalla fase vegetativa a quella riproduttiva è necessario un certo fabbisogno in freddo tanto maggiore quanto più le cultivar sono tardive; ciò non sempre è necessario per le cultivar precocissime.

La pianta possiede una radice fittonante non molto profonda. Il fusto eretto, lungo 15-40 cm, porta all’estremità un numero variabile di foglie (20-100) a seconda della cultivar, nella cui parte centrale si forma la parte edule.

Quest’ultima è rappresentata da una falsa infiorescenza a "corimbo", di forma, colore e pezzatura variabili per le diverse cultivar, che si consuma quando è ancora compatta.

L’infiorescenza vera e propria è un racemo derivante dall’allungamento dei peduncoli carnosi del corimbo.
Per quanto riguarda il ciclo vegetativo, il cavolfiore è una specie tipicamente biennale; pertanto, necessita di un certo periodo di freddo per passare dalla fase vegetativa a quella riproduttiva. Tuttavia, con il contributo del miglioramento genetico, sono state immesse sul mercato cultivar precocissime che possono essere raccolte nello stesso anno di semina.

A seconda delle cultivar il ciclo colturale si svolge in un periodo di 70-200 giorni.

Può ritenersi una coltura che lascia una buona fertilità residua in quanto:

  la notevole biomassa derivante dai residui colturali migliora il bilancio della materia organica del terreno;

  le lavorazioni superficiali (sarchiature e zappettature) esercitano un'azione favorevole sulle caratteristiche fisiche del terreno e sul controllo delle erbe infestanti che, eliminate precocemente, non concorrono all’asportazione di elementi nutritivi ed al consumo idrico;

  determina una riduzione della carica infestante non consentendo alle malerbe sfuggite alle sarchiature di completare la fase riproduttiva.

Tuttavia, in presenza di terreni pesanti, qualora la raccolta ricada in un periodo con terreno eccessivamente bagnato, il calpestio può produrre costipamento e, quindi, peggioramento della struttura.

E' particolarmente importante programmare una adeguata rotazione colturale onde evitare il ritorno sullo stesso terreno di questa specie o di altre brassicacee prima di 3-4 anni.

Per il periodo dell’anno in cui si svolge il ciclo colturale, non richiede eccessivi apporti irrigui.
In presenza di acqua salmastra, come spesso si verifica negli ambienti meridionali, si consiglia di ritardare il trapianto per limitare l’irrigazione solo ad interventi di soccorso onde evitare l’apporto di sali al terreno ed il conseguente peggioramento della sua fertilità.

 


Esigenze pedoclimatiche

La coltura del cavolfiore predilige i terreni di medio impasto. Anche su terreni argillosi possono ottenersi buone produzioni prestando particolare cura alla regimazione delle acque in eccesso che possono provocare problemi fitosanitari e squilibri fisiologici con relativi danni sulla produzione (bottonatura, cavità nell’asse centrale del corimbo).

Preferisce un pH di 6,5 e risulta mediamente tollerante la salinità.

Le migliori produzioni si ottengono con clima fresco e umido ed assenza di gelate.

Non è possibile definire un optimum termico univoco essendo una specie dotata di una grande adattabilità alle temperature; ciò in relazione anche all’ampio panorama di cultivar presenti.

Per la formazione del corimbo, le cultivar precoci hanno un optimum termico a circa 17 °C con limite massimo variabile da 20 a 25 °C.

Tuttavia, al di sopra di 20 °C si verifica un ritardo nella formazione del corimbo ed un peggioramento qualitativo.

In queste cultivar, una esposizione a basse temperature nella fase giovanile può favorire il fenomeno della bottonatura.

Le cultivar tardive, invece, per la formazione del corimbo hanno bisogno di un periodo di 25-50 giorni di vernalizzazione con temperature comprese tra 4,5 e 10 °C, o periodi più brevi, ma con temperature più basse.

In ogni caso, il fabbisogno in freddo aumenta con l’aumentare della durata del ciclo colturale.

La resistenza al freddo è superiore nella fase antecedente la formazione del corimbo.

In questa fase le piante possono tollerare anche temperature inferiori a -3 °C per diversi giorni limitando gli eventuali danni alle foglie esterne.

Con il corimbo già formato, la sensibilità alle basse temperature aumenta notevolmente e la produzione può essere compromessa da temperature anche di poco inferiori a 0 °C.

I danni risultano più gravi per le cultivar che presentano un basso numero di foglie involucranti e quindi non in grado di garantire una buona protezione del corimbo.

Il regime termico che si verifica nel corso del ciclo colturale è molto importante per la manifestazione di una serie di fisiopatie di cui il fattore termico appare uno dei principali responsabili.

Temperature superiori a 20 °C prima e durante la formazione del corimbo possono favorire la produzione della "peluria" sulla sua superficie.

Un aumento termico al di sopra di 15-18 °C, mentre è in atto la fase riproduttiva (formazione del corimbo), può favorire un ritorno alla fase vegetativa con produzione di foglioline indesiderate all’interno del corimbo (virescenza).

Nelle cultivar precoci, una prolungata esposizione a basse temperature nella fase giovanile può determinare la produzione di corimbi con pezzatura molto ridotta rendendoli non commerciabili (bottonatura).

Quando il corimbo è ben formato ed è poco protetto dalle foglie involucranti, l’esposizione a temperature inferiori allo 0 °C può favorire la formazione di un imbrunimento a chiazze del corimbo che ne peggiora la conservabilità e determina la emanazione di uno sgradevole odore durante la cottura.

Per sfuggire ai rischi prodotti dalla variabilità del regime termico è necessario curare la scelta delle cultivar, le epoche di trapianto ed impiegare quelle tecniche agronomiche che possono mitigare gli effetti negativi della temperatura (evitare, ad esempio, l’esecuzione di sarchiature quando si prevedono gelate).

 

Rotazione
La disponibilità di una vasta gamma di cultivar con diversa durata del ciclo colturale consente, per diversi ambienti di coltivazione di poter programmare la più adeguata rotazione.

I fattori da considerare sono:

-         i patogeni derivanti dalle colture in precessione che possono conservarsi nel terreno;

-         gli effetti che può produrre la sua coltivazione sulla fertilità del terreno per le colture in successione;

-         il controllo della flora infestante;

-         la gestione delle risorse idriche.

La coltivazione di questa specie è fonte di un notevole apporto di sostanza organica al terreno derivante dai residui colturali, è inoltre importante perchè può contribuire indirettamente alla riduzione della flora infestante, in particolare delle specie autunno-primaverili (diverse graminacee), attraverso le operazioni di sarchiatura richieste ma anche perché conclude il ciclo colturale prima che molte specie abbiano raggiunto la fase riproduttiva.

Non meno importante è l'effetto indiretto detrminato dall'elevata competitività della coltura.

Per limitare i rischi da patogeni derivanti dalle colture precedenti, è necessario che il cavolfiore non succeda a se stesso o ad altre brassicacee.

In una gestione biologica dell’azienda, per la coltivazione di questa brassicacea è consigliabile effettuare rotazioni in cui:

a) non siano previste specie della stessa famiglia;

b) il cavolfiore non torni sullo stesso terreno prima di 3 - 4 anni;

c) sia preceduto da una coltura che lasci una buona disponibilità di azoto (è da evitare la successione al frumento).

 

Scelta delle cultivar

La scelta delle cultivar deve essere orientata verso quelle che meglio si adattano alle condizioni pedoclimatiche della zona di coltivazione, abbiano una durata del ciclo vegetativo adeguata alle diverse esigenze di rotazione e presentino caratteristiche merceologiche adeguate alle richieste di mercato e alla destinazione del prodotto.

Inoltre, è opportuno individuare quelle che presentano minore suscettibilità alle fitopatie che con maggiore probabilità possono insidiare la coltura nelle diverse zone.

Le cultivar in commercio in Italia sono numerosissime e sono rappresentate da selezioni di popolazioni locali e da ibridi F1.

Tra le cultivar locali sono da annoverare la Gigante di Napoli con diversi tipi che maturano da dicembre ad aprile (Natalino, Gennarese, Marzatico, Aprilatico), la Tardivo di Fano e la precoce di Jesi.

Queste cultivar che fino agli anni '80 interessavano buona parte della superficie a cavolfiore in Italia, presentano una serie di caratteristiche (colore, compattezza, pezzatura, maturazione scalare, manifestazione di fisiopatie) talvolta indesiderate per l’elevato standard qualitativo richiesto dai mercati.

Ciò ha causato l’affermazione rapida delle nuove cultivar ibride commercializzate dalle ditte sementiere e caratterizzate da esigenze pedoclimatiche diverse, dalla resistenza ad alcune malattie (batteriosi, peronospora, alternaria) e ad alcune fisiopatie (peluria, bottonatura), da notevole uniformità di pezzatura, foglie erette e spesso ricoprenti il corimbo, maturazione concentrata, idoneità alla trasformazione industriale.

Tra gli ibridi sono disponibili diverse classi di precocità con durata del ciclo vegetativo che può variare, a partire dalla data di trapianto, da 50-60 giorni (precoci) a 70-80 (medie), 90-110 (tardive), fino ad oltre 200 giorni (molto tardive).

L’operatore agricolo che adotta sistemi di coltivazione biologica, per la scelta delle cultivar dovrà attenersi alle indicazioni riportate dalle ditte sementiere e scegliere quelle meglio rispondenti alle esigenze di coltivazione biologica.
Interessanti sono le cultivar: Di Sicilia violetto e Verde di Macerata, rispettivamente per il colore viola e verde del corimbo, Romanesco per la caratteristica forma a pigna e Snowball A e Snowball X per l'elevato livello qualitativo delle selezioni disponibili.

Tra gli ibridi F1, invece, le cultivar White Flash, White Aston purple, Tulchan, Delfur.
La cultivar White Flash F1 è precoce e in grado di produrre cavolfiori bianchi anche nei periodi caldi, la cultivar White Aston purple si è invece affermata per il colore del corimbo (viola molto scuro) che lo rende gradito ai consumatori e, al tempo stesso, offre maggiori garanzie di omogeneità, pezzatura e tolleranza alle principali avversità.

Le ultime due cultivar vengono raccomandate oltre che per la rusticità, che ne rende possibile la coltivazione anche in condizioni difficili, per l'ottimo aspetto e compattezza delle teste che favoriscono l'inserimento per il mercato fresco.


Propagazione
La propagazione del cavolfiore avviene per via gamica.

Il seme può essere prodotto dagli stessi agricoltori nel caso di impiego di popolazioni locali, ma il sempre più frequente impiego di ibridi, obbliga l’acquisto di seme commercializzato dalle ditte sementiere.

Nel caso di produzione di seme da parte degli stessi agricoltori, è necessario tenere presente che questa specie è una pianta allogama ed è pertanto necessario eliminare prima della fioritura le piante non rispondenti alle caratteristiche della cultivar in riproduzione o altre piante dello stesso genere.

La quantità di seme che può essere prodotta può variare da circa 20 a 70 g/m2.

La semina diretta, in uso fino all’avvento delle costituzioni ibride, ha ormai lasciato il posto quasi esclusivamente alla tecnica del trapianto o con piantine allevate in semenzaio e trapiantate a radice nuda (soprattutto per le cultivar locali), o con piantine allevate in contenitori alveolati (ibridi).

In tale modo si riduce ad un decimo l’impiego di seme rispetto alla semina diretta, si evitano i rischi di fallanze ed i costi del diradamento.

Inoltre, il più breve tempo di occupazione dell’appezzamento da parte della coltura consente una migliore gestione delle operazioni di preparazione del terreno, il risparmio di risorse di fertilità ed idriche, un più efficace controllo delle infestanti (falsa semina), e consente di sfuggire a fitopatie o attacchi di insetti che possono verificarsi in piena aria nelle prime fasi di crescita delle piantine.

Le piantine, prodotte dalla stessa azienda o da azienda vivaistica specializzata, devono essere allevate secondo le norme previste per la produzione biologica.

Nell’allevamento delle piantine è da prestare particolare attenzione alla gestione della disponibilità di elementi nutritivi (soprattutto azoto) e di acqua perché una loro carenza può favorire l’anormale sviluppo delle piante in campo con produzione anticipata di corimbi molto piccoli (bottonatura) e non commerciabili.

Ciò si verifica in modo particolare per le cultivar precoci; la stessa fisiopatia può manifestarsi se il trapianto non avviene entro 40-45 giorni dall’emergenza.

 

Impianto
Il cavolfiore predilige un terreno ben lavorato soprattutto nella zona superficiale dove sarà distribuito il seme (nel caso di semina diretta) o alloggiate le piantine (nel caso di trapianto).

Poiché le operazioni di preparazione del terreno avvengono generalmente nel periodo secco, è possibile eseguire le lavorazioni principali con attrezzi discissori ad una profondità di 30 cm per favorire l’arieggiamento e la regimazione delle acque.

Una successiva fresatura può essere necessaria per la eliminazione delle infestanti presenti ancor prima della disseminazione, interrare i fertilizzanti per ripristinare gli elementi nutritivi asportati e creare uno strato di terreno idoneo ad ospitare i semi o le piantine.

Deve essere curato il buon livellamento del terreno per evitare ristagni idrici a cui la coltura è molto sensibile.

Il trapianto si esegue di solito da luglio a settembre a seconda degli ambienti climatici e delle cultivar impiegate, a mano o con l’ausilio di macchine trapiantatrici.

Per un buon attecchimento senza che le piantine possano subire stress idrici dannosi per la produzione è necessario che il terreno aderisca bene al pane di terra o alle radici se il trapianto avviene a radice nuda.

La scelta e le distanze di impianto è condizionata dalla vigoria della piante che è tanto maggiore quanto più lungo è il loro ciclo vegetativo, dalla fertilità del terreno e dalle risorse idriche disponibili.

Per le cultivar precoci si esegue con distanze di 70 cm tra le file e 50 sulla fila (circa 29.000 piante/ha). Le cultivar tardive, invece, a causa del maggiore accrescimento, necessitano di densità più basse (circa 19-20.000 piante/ha) ottenute distanziando le piante a 70 cm sulla fila e 70-80 cm tra le file.

Nel caso di coltivazioni destinate all’ottenimento di minicavoli da destinare all’industria, in cui peraltro può essere impiegata la raccolta meccanica, si prevedono densità di 30-40.000 piante/ha.

L’epoca di trapianto corrisponde con gli sfarfallamenti della cavolaia (Pieris brassicae L.).

E’ utile far ricorso alla copertura delle piantine appena poste a dimora con "tessuto non tessuto" evitando, così, l’ovodeposizione del lepidottero sulle piante.

Il "tessuto non tessuto" esplica, inoltre, un’azione positiva sull’attecchimento delle piantine creando un microambiente a più elevata umidità relativa che contiene l’evapotraspirazione e determina un risparmio di acqua.

Il bassissimo peso unitario del telo (circa 10 g/m2) consente il normale accrescimento delle piante essendo queste in grado di trascinarlo verso l’alto mentre si accrescono in altezza.

I teli, rimossi in epoca di scampato pericolo possono essere riutilizzati per 3-4 anni.

 

Gestione della fertilità

Per un'oculata gestione della fertilità in orticoltura è necessario tenere presente il posto che il cavolfiore occupa nella rotazione, la cultivar impiegata e la sua produttività, le tecniche agronomiche impiegate, la fertilità residua della coltura precedente, l’andamento termopluviometrico da cui si può dedurre il grado di mineralizzazione della sostanza organica e la lisciviazione o meno degli elementi fertilizzanti presenti nel terreno prima del trapianto.


Per una buona produzione di corimbi (20-30 t/ha) vengono asportati in media:

 

Produzione (t/ha)

Elementi (kg/ha)

N

P2O5

K2O

CaO

MgO

S

20-30

140

60

170

80

7

45


Tra i macroelementi il più importante è l’azoto il quale, purché il terreno non sia carente in fosforo e potassio, influenza positivamente le produzioni ed il contenuto vitaminico del prodotto.

Sono da temere sia le carenze che possono determinare l'accrescimento stentato delle piante con produzione di piccole infiorescenze non commerciabili, sia l'eccesso che, pur favorendo la quantità di prodotto, produce effetti negativi sulla serbevolezza del corimbo e sulla predisposizione alla peluria ed alla prefioritura.

Il fosforo favorisce l’assorbimento dell’azoto ed esercita un’azione favorevole sulla serbevolezza e la resistenza al trasporto dei corimbi.

Inoltre, il cavolfiore, è molto esigente in potassio.

La coltura si avvantaggia molto della presenza di letame ben maturo che è preferibile somministrarlo qualche mese prima del trapianto ed interrarlo con le operazioni preparatorie del terreno.

Il letame, oltre all’apporto diretto di elementi nutritivi, favorisce i processi biologici e migliora le caratteristiche fisiche del terreno che, insieme, concorrono favorevolmente all’assorbimento degli elementi nutritivi.

L’interramento dei residui colturali (foglie e corimbi di scarto) consente di assicurare un maggior apporto di materiale organico al terreno con il relativo riciclo degli elementi fertilizzanti in esso contenuti.

 

Gestione delle risorse idriche

La disponibilità idrica per il cavolfiore riveste grande importanza sia nella fase di allevamento in vivaio che in quella definitiva in campo.

Gli interventi irrigui devono essere effettuati prima che si perda dallo strato di terreno maggiormente interessato dalle radici il 40 per cento dell’acqua disponibile (da 20 a 35 mm passando dai terreni sabbiosi a quelli argillosi ben strutturati e dalle prime alle ultime fasi del ciclo colturale).

A tal fine è da sottolineare che questa specie presenta un apparato radicale piuttosto superficiale, soprattutto per la coltura trapiantata (si stima che il 90 per cento delle radici si trova nei primi 50 cm di profondità).

Questa specie è moderatamente sensibile alla salinità dell’acqua irrigua.

Una conducibilità elettrica dell’acqua pari a 1,9 - 2,9 - 4,6 dS m-1 può determinare una riduzione produttiva, rispettivamente, del 10, 25 e 50 per cento.

L’irrigazione è normalmente necessaria in tutti gli ambienti di coltivazione nelle prime fasi del ciclo colturale per favorire l’attecchimento delle piantine; infatti, è da tenere presente che stress idrici subiti dalle piante in questa fase possono determinare il fallimento della coltura per il manifestarsi della "bottonatura" e della prefioritura.

I consumi idrici totali sono variabili soprattutto in relazione all’epoca di trapianto, alla durata del ciclo colturale, all’andamento climatico pertanto il fabbisogno irriguo è molto variabile in relazione agli stessi parametri ed alle precipitazioni.
Il metodo irriguo più comunemente impiegato è quello per aspersione. Questo metodo si presta bene durante la fase vegetativa; durante quella riproduttiva, invece, l’inumidimento delle foglie e del corimbo potrebbe favorire l’insorgenza di malattie (esempio Xantomonas).

Per evitare ciò è utile l’impiego di metodi irrigui localizzati (a goccia) che, pur presentando più elevati costi di impianto, assicurano diversi vantaggi legati ad una più uniforme distribuzione dell’acqua, una localizzazione della zona umettata in prossimità dei gocciolatori, che favorisce la crescita localizzata delle erbe infestanti, ed un più efficiente uso dell’acqua a causa delle minori perdite per evaporazione dal terreno.

Per ridurre i consumi idrici della coltura è opportuno effettuare delle sarchiature con le quali, oltre al controllo di eventuali infestanti, si riduce la perdita di acqua per evaporazione diretta dal terreno.

Infine, per economizzare l’acqua residua presente nel terreno alla fine del ciclo colturale, dopo l’ultima raccolta è utile provvedere all’eliminazione dei residui colturali o attraverso il loro interramento se il terreno è in condizione di umidità idonea ad essere lavorato, oppure con l’impiego di macchine sfibratrici.

 

Gestione della flora infestante

Le infestanti maggiormente presenti nelle zone meridionali che possono interessare la coltivazione del cavolfiore sono Portulaca oleracea L., Amaranthus spp., Chenopodium spp., Setaria viridis (L.) Beauv., Solanum nigrum L. nelle prime fasi del ciclo colturale; in autunno, con l’abbassarsi delle temperature compaiono Veronica spp., Stellaria media (L.) Vill., Matricaria camomilla L., Fumaria officinalis L., Papaver rhoeas L., Diplotaxis erucoides (L.) DC., Sonchus oleraceus. L..
E' consigliabile controllare tutte le infestanti presenti nelle zone incolte all’interno o in prossimità degli appezzamenti (capezzagne, scoline, pali di elettodotti o telefonici) prima che maturino i loro semi, per mezzo di mezzi meccanici (zappe, decespugliatori o piccoli falciatrici) o fisici (pirodiserbo).

Un metodo che può ridurre la carica infestante, soprattutto delle specie che germinano nel periodo estivo, è quello della falsa semina.

Per fare ciò è necessario amminutare il terreno almeno 20-30 giorni prima del trapianto, effettuare 2-3 adacquate per aspersione con frequenza di 3-4 giorni somministrando un volume di adacquamento complessivo di 400-500 m3/ha.

In tal modo verrà favorita l’emergenza delle infestanti i cui semi si trovano più in superficie, che saranno eliminate da una fresatura da eseguire anche per la preparazione del letto di trapianto qualche giorno prima della sua esecuzione.

Onde evitare di portare in superficie i semi non germinati dagli strati di terreno più profondi è opportuno eseguire la fresatura ad una profondità che non superi gli 8-10 centimetri.

Inoltre, è utile effettuare le lavorazioni la notte o con attrezzi opportunamente coperti, per ridurre la percentuale di semi di infestanti germinanti.

Successivamente al trapianto è necessario effettuare 1 o 2 sarchiature meccaniche nell’interfila con cui, oltre ad eliminare le eventuali infestanti emerse, si favorisce l’arieggiamento del terreno eventualmente compattato dall’azione battente dell’acqua e si riducono le perdite di acqua per evaporazione dal terreno interrompendone la capillarità.

Se le infestanti presenti sulle file e/o sfuggite all’azione della sarchiatrice possono danneggiare la produzione, è necessario eliminarle manualmente (scerbatura) o con l’aiuto di zappe.

Con la crescita della coltura diventa sempre più difficile operare con organi meccanici senza produrre danni alle radici più superficiali. Tuttavia, se prima di quella fase è stato possibile effettuare un buon controllo con una sarchiatura, successivamente la coltura esplica una buona azione competitiva sulle specie emerse tardivamente.
Oltre ai mezzi menzionati, sono stati sperimentati, spesso con un certo successo, nuove macchine per il diserbo fisico e meccanico.

Tra le prime si ricordano delle macchine con cui si può effettuare il pirodiserbo localizzato.

Tra le seconde si annoverano delle macchine che possono surrogare le tradizionali sarchiatrici come il diserbatore elastico "torsion weeder", il rotocoltivatore frangicrosta, il diserbatore rotante a diti "finger weeder", spazzolatrici.

Subito dopo la raccolta bisogna provvedere all’interramento dei residui colturali e delle infestanti sfuggite agli interventi rinettanti o emerse tardivamente, onde evitare che possano disseminare e per meglio economizzare le risorse idriche residue.

Tuttavia, è necessario evitare di interrare i residui colturali che presentano sintomi di malattie i cui agenti eziologici possono conservarsi nel terreno.

 

Raccolta
La raccolta ha inizio quando i corimbi hanno raggiunto un sufficiente sviluppo a cui corrisponde un diametro di almeno 11 cm.

La durata del periodo di raccolta è strettamente influenzata dalle caratteristiche varietali e dalle condizioni ambientali. Il ciclo colturale può durare da 70 giorni per i precocissimi ad oltre 200 giorni per i tardivi.

La raccolta meccanizzata è ancora ostacolata dalla scarsa contemporaneità di maturazione, nonostante i notevoli risultati conseguiti dal miglioramento genetico per tale carattere.

Pertanto sono ancora necessari più passaggi per l’asportazione dal campo dell’intera produzione.

La pezzatura dei corimbi è variabile in relazione alle diverse cultivar; in alcune vecchie cultivar e popolazioni locali venivano superati anche i 30 cm di diametro ed il peso di 3-5 kg. In quelle oggi coltivate il peso medio alla raccolta commerciale dei corimbi defogliati, di solito non supera 1,5 kg; in genere le cultivar tardive producono corimbi più grossi.

Le piante vengono recise al colletto ed i corimbi vengono sottoposti ad una pre-lavorazione in base alle esigenze di mercato; quindi vengono posti in gabbie da trasferire al magazzino per le successive fasi di selezione, calibrazione e confezionamento.
La produzione areica di cavolfiore dipende dalla pezzatura raggiunta dai corimbi e dalla densità di piante; essa può variare da 10 ad oltre 40 t/ha.

Il cavolfiore in base alla lavorazione a cui è sottoposto, variabile a seconda dei mercati di destinazione, viene distinto in:

-         affogliato, quando le infiorescenze sono completamente coperte dalle foglie appena spuntate nella loro parte terminale;

-         coronato, quando le foglie vengono recise al massimo 3 cm sotto l’infiorescenza;

-         defogliato, quando tutte le foglie vengono asportate tranne le foglioline tenere aderenti al corimbo;

-         nudo, allorché resta soltanto il corimbo che viene avvolto da un film di plastica termoresistente (da preferire per il recupero di biomassa che rimarrebbe nel terreno).

Anche dopo la raccolta i cavolfiori possiedono una più o meno debole attività respiratoria, in relazione alla loro massa ed alla temperatura ambientale, che favorisce l’appassimento della merce e lo scadimento qualitativo. Per i tipi molto precoci, a raccolta autunnale, è consigliabile fare ricorso alla prerefrigerazione.

Con tale tecnica si prolunga lo stato di freschezza della merce con l’abbassamento della temperatura dei corimbi a 5°C, attraverso l’impiego di acqua a 1°C per circa 20 minuti o con l’impiego del vuoto per 30 minuti.

In tal modo l’attività metabolica subisce un rapido rallentamento.

Il trasferimento del prodotto per la commercializzazione deve avvenire in frigoriferi per il mantenimento di un buono standard qualitativo.

La prerefrigerazione può essere evitata quando le raccolte vengono effettuate nei periodi freddi.

Per tutte le epoche di produzione, l’eventuale stoccaggio della merce deve avvenire in celle frigorifere in modo da prolungarne la conservazione.

A 0°C e con umidità relativa del 95 per cento il prodotto può sostare per 30 giorni senza subire danni, avendo cura di favorire un certo ricambio di aria per l’eliminazione della CO2 prodotta dalla respirazione, che può determinare l’insorgenza di rammollimenti, marciumi e perdita di colore. Il periodo di conservazione si riduce a 11 e 7 giorni con temperature della cella rispettivamente pari a 5 e 10°C.


Avversità

I potenziali nemici del cavolfiore comprendono crittogame, insetti, nematodi, batteri, virus e fitoplasmi, sono numerosi e in gran parte comuni a tutti i tipi di cavolo.

A questi si aggiungono le alterazioni di origina abiotica.


Crittogame:

-         peronospora (Peronospora brassicae);

-         cancro o piede nero (Phoma lingam);

-         alternariosi (Alternaria brassicae e A. brassicicola);

-         ernia (Plasmodiophora brassicae);

-         trachemicosi (Verticillium dahliae);

-         sclerotinia (Sclerotinia sclerotiorum);

-         ruggine bianca (Albugo candida).


Batteriosi:

-         marciume nero o annerimento vascolare (Xanthomonas campestris);

-         marciume molle (Erwinia carotovora var. carotovora);

-         marciume molle delle teste (Pseudomonas talaasii).


Virus:

-         virus del mosaico del cavolfiore (CaMV).


Parassiti animali:

-         afidi (afide ceroso del cavolo, afide verde del pesco);

-         lepidotteri (cavolaia, nottue, tignola delle brassicacee);

-         ditteri (mosca del cavolo);

-         nematodi.


Fisiopatie:

-         peluria;

-         ottonatura;

-         virescenza, fillodia, frondescenza;

-         fusto cavo;

-         danni da freddo;

-         atrofia dei corimbi o cavolfiori ciechi;

-         laciniatura fogliare.