Carciofo

Origine e diffusione

Il carciofo (Cynara cardunculus L. var. scolymus Hayek), dopo il pomodoro, è la coltura più diffusa in Italia; può essere annuale o poliennale in coltura specializzata o, come avviene talvolta in Puglia, consociato ai fruttiferi o all’olivo. Richiede clima mite e può essere coltivato anche in bassa collina pur risentendo di un certo ritardo nella produzione dei capolini.

È una pianta a rizoma sotterraneo e può raggiungere l’altezza di 1,20-1,30 m.

Il fusto è eretto e termina in un capolino, di peso variabile da 150 ad oltre 400 g, costituito da un ricettacolo carnoso (parte edule) e da molte brattee di colore verde o violetto che possono anche terminare con una spina nelle cultivar spinose.

Dopo la formazione del capolino principale, il fusto si ramifica in maniera dicotomica e produce, in sequenza, 6-7 capolini di 2° e 3° ordine che costituiscono prodotto commerciabile per il mercato fresco.

I capolini di più modeste dimensioni vengono destinati all’industria conserviera.

Alla base del fusto, ogni anno si formano nuovi getti chiamati carducci o polloni che devono essere asportati in modo da lasciarne 1-2 per pianta.

Oltre ad essere commestibili, i carducci possono essere utilizzati per la riproduzione di nuove carciofaie, per l’alimentazione animale o possibilmente lasciati in campo, costituendo materiale organico di rilevante importanza per la conservazione della fertilità del terreno.

 

Esigenze pedoclimatiche

La coltura del carciofo, pur adattandosi a terreni di diversa composizione granulometrica, preferisce quelli freschi, di medio impasto o tendenzialmente argillosi, profondi, abbastanza fertili.

È pertanto opportuno scegliere gli ambienti più idonei non tralasciando la conoscenza delle condizioni climatiche del luogo di coltivazione ed in particolare quelle invernali che devono presentare temperature non eccessivamente basse e assenza di neve e di gelate.

Infatti, le produzioni precoci che si realizzano negli ambienti meridionali da ottobre a maggio, potrebbero essere fortemente danneggiate da tali eventi.

D'altra parte se si tiene presente che il limite biologico di vegetazione si aggira intorno a 8°C, temperature di -2, -5°C possono divenire letali per la coltura, in particolare nella fase riproduttiva.

Anche temperature troppo elevate (maggiori di 25°C) che talvolta si verificano a fine estate-inizio autunno possono essere dannose a colture precoci in fase riproduttiva, con induzione di una fisiopatia denominata "atrofia del capolino" o "capolino monaco", la quale determina una necrosi delle cellule del calice che, in tal modo non producono l'accrescimento delle brattee interne.

Tale fisiopatia colpisce soprattutto i capolini principali rendendoli non commerciabili, con perdite talvolta superiori al 40 per cento dell'intera produzione. Per evitare tale rischio appare opportuno non anticipare eccessivamente il risveglio della carciofaia e razionalizzare gli interventi irrigui per non forzare, oltre certi limiti, i naturali cicli biologici della specie.

Il carciofo, inoltre, è abbastanza tollerante alla salinità del terreno (4,8 dS m-1) e dell’acqua irrigua (2,7 dS m-1).

Nel programmare la rotazione l'operatore deve tenere conto che si tratta di una coltura non eccessivamente sfruttante, da utilizzare in apertura o chiusura in quanto lascia il terreno ben strutturato.

Infatti il carciofo ha un apparato radicale molto sviluppato in lunghezza, richiede durante il ciclo colturale scerbature e zappettature sia per arieggiare il terreno ed evitare possibili ristagni di acqua (è particolarmente sensibile al marciume radicale), che per contenere lo sviluppo di quelle infestanti che talvolta riescono a sfuggire alla rigogliosità della coltura.

Inoltre è da consigliare nel caso si debba intervenire per migliorare terreni troppo compattati o mal strutturati, conseguenza di eventuali errori nella gestione agronomica, o per contenere infestanti troppo invasive.

In caso di coltura poliennale, per le aziende di piccole dimensioni in attesa di potere riutilizzare l'appezzamento occupato così a lungo dalla coltura si presenta il problema di dovere organizzare le rotazioni su una superficie minore.

Bisogna inoltre tenere presente che il carciofo è una coltura che può precedere la coltivazione di molte ortive sfruttanti perché produce, nel corso degli anni di impianto, notevoli quantità di residui organici, utilizzabili per il compostaggio direttamente sul terreno e lasciando quindi una consistente fertilità residua.

È assolutamente sconsigliato fare seguire al carciofo specie appartenenti alla stessa famiglia botanica (cardo, lattuga, cicoria).


Rotazione
La specie potrebbe ritornare sullo stesso terreno dopo un periodo variabile da 5 a 10 anni circa a seconda della durata del periodo di coltivazione (3-4 anni o più).

Generalmente il carciofo è in coltura specializzata, in qualche caso è consociato ai fruttiferi o all’olivo.

Trattandosi di specie poliannuale (in genere 3-5 anni di coltura) il carciofo può seguire, nell'avvicendamento, colture cerealicole (frumento, orzo, mais), prati di medica, erbai, colture ortive varie (ad eccezione del cardo che, come è noto, appartiene alla stessa famiglia delle Asteraceae).


Alcuni esempi di successione orticola potrebbero configurarsi come segue:

1° - 4°anno: carciofo;

5° anno: grano duro;

6° anno: leguminosa (pisello, fava o fagiolo);

7° anno: cavolfiore;

____________________________________________________________________
1° anno: pomodoro;

2° anno: melone;

3° anno: cavolfiore o cavolo broccolo;

4° anno: patata o cipolla;

5° anno: leguminosa (fava o fagiolo);

6° - 10° anno: carciofo;

____________________________________________________________________
1° anno: grano duro;

2° anno: patata;

3° anno: leguminosa (fava o fagiolo);

4° - 7° anno: carciofo;

____________________________________________________________________
1° anno: grano duro;

2° anno: leguminosa (fava o fagiolo);

3° - 6° anno: carciofo;


Scelta delle cultivar

La scelta della cultivar deve essere rivolta verso quelle che meglio si adattano alle condizioni pedoclimatiche della località di coltivazione e che presentano le migliori caratteristiche di rusticità (resistenze ad avversità biotiche ed abiotiche), buona produttività e buone qualità merceologiche.

Come è noto, numerose sono le cultivar di carciofo conosciute, ma relativamente poche quelle che possono avere interesse per gli ambienti italiani ed in particolare per quelli del meridione.

La maggior parte delle cultivar attualmente coltivate sono inermi e tra le tipologie più note e di larga diffusione figura il Violetto di Sicilia o Catanese, una cultivar precoce, la cultivar Romanesco, così come per rispondere alle esigenze di ampliare le rotazioni, è possibile utilizzare una cultivar da seme (Talpiot) che, giungendo a produzione dopo un anno, consente di abbreviare drasticamente i periodi di coltivazione.


La propagazione

La propagazione del carciofo avviene per via agamica e gamica. La propagazione per seme può effettuarsi in piccoli orti, per produzioni ad uso familiare oppure per prodotto a destinazione industriale.

Alcune esperienze condotte in Puglia e Basilicata su linee di carciofo Israeliane (Talpiot e 044) e Francesi (Cavo, Rari, Cecu, Jaja) propagate per seme, hanno evidenziato una discreta produttività della carciofaia quando la semina viene effettuata in luglio-agosto. Tuttavia la produzione di tali carciofaie si ottiene in aprile-maggio dell’anno successivo all’impianto e pertanto il prodotto, trovando difficoltà di collocazione sui mercati nazionali, potrebbe essere facilmente destinato all’industria conserviera.

I metodi di propagazione agamica più diffusi, sono i seguenti:

1) Sistema di propagazione per carducci (polloni) è quello più diffuso, ma non il migliore. Esso consiste nel prelievo di quelli in sovrannumero dalle piante madri all'epoca delle scarducciature e, dopo una scelta sommaria, nel trapianto degli stessi in pieno campo.

La scarsa presenza di radici sui polloni distaccati dalle piante madri spesso non consente un regolare attecchimento e le piantine (polloni), presentando ferite, possono essere più facilmente attaccate da funghi terricoli (Fusarium, Verticillium, Rhizoctonia, Sclerotinia) con conseguente moria.

In ogni caso, la coltura si presenta spesso disforme, con molte fallanze che, sebbene rimpiazzate da altri successivi trapianti, comportano tuttavia una produzione scalare dei capolini a causa della diversa età delle piantine.

Al fine di ottenere la massima precocità, molto importante è la scelta del materiale di propagazione; i carducci di piante precoci mantengono tale caratteristica, una volta trapiantati, per almeno due-tre anni.

Inoltre, quelli che presentano foglie a lamina intera producono più precocemente di quelli che presentano foglie più o meno settate.

 

2) Sistema di propagazione per carducci radicati in piantonaio: consistente nel disporre quelli della seconda scarducciatura, che in genere si effettua in gennaio-febbraio, in piantonai possibilmente pacciamati con film biodegradabili in maniera da farli ben radicare e nel contempo formare un piccolo rizoma legnoso, molto simile agli ovoli che si evidenziano, a fine ciclo colturale, sulle ceppaie rizomatose delle piante in coltivazione.

I carducci che vengono posti a radicare in aiuole a file distanti 50-60 cm circa ed a distanze di 15 cm sulla fila, permangono nel piantonaio per 4-5 mesi ed in luglio vengono divelti, opportunamente scelti e trapiantati in pieno campo, con attecchimento pressochè totale e formazione di una carciofaia uniforme che entra in produzione fin dal tardo autunno (novembre-dicembre).

Al contrario, l'impianto diretto in pieno campo dei carducci in settembre-ottobre (prima scarducciatura), già descritto, entra in produzione attiva dopo circa un anno dall'impianto, giacchè le basse produzioni in capolini ottenibili in aprile-maggio hanno scarso interesse economico.

3) La propagazione per ovoli: ottenibili durante il periodo estivo è un metodo che talvolta viene utilizzato in Sicilia, in terreni irrigui e, spesso, per carciofaie di durata annuale.

4) La propagazione per occhetti: è un  sistema di propagazione, in uso soprattutto nel Lazio per il tipico "Romanesco", a causa della scarsa capacità pollonifera della cultivar, non appare molto valido. Infatti il prelievo di questi da vecchie carciofaie divelte, presenta gravi problemi inerenti il forte impiego di manodopera per la preparazione del materiale e lo stato sanitario, poiché spesso, le vecchie ceppaie presentano danni da insetti, batteriosi e malattie fungine facilmente trasferibili alla nuova coltivazione.

5) La propagazione per piantine ottenute da micropropagazione:  è una tecnica innovativa, proposta alcuni anni or sono, prevede, per la propagazione, l'uso di piantine micropropagate che, come è noto, sono virus-esenti ma che all'impianto risultano, nella fase di accrescimento, più sensibili ad attacchi virali rispetto al materiale di norma utilizzato per la propagazione. Inoltre, nelle cultivar precoci tale importante caratteristica non viene più esaltata.


Impianto

Le tradizionali distanze d'impianto prevedono sesti di 1,20 x 1,20 m tra le piante, in modo da ottenere circa 7.000 piante per ettaro.

In un progetto di studio sulla meccanizzazione integrale del carciofo, finanziato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche nel 1975, sono state studiate tecniche d'impianto che prevedevano, tra l'altro, distanze di 180 cm tra le file e di 60 cm sulla fila, in modo da ottenere, come negli impianti tradizionali, la stessa densità colturale (circa 7.000 piante/ha).

Con tale impianto definito "a siepone", è stato possibile, nei primi due anni, ottenere produzioni pressoché equivalenti a quelle ottenute da impianti tradizionali, con il vantaggio di potere utilizzare piccoli mezzi meccanici o, in alternativa, mezzi scavallatori per le varie operazioni colturali, compresa la raccolta agevolata, con notevole risparmio dei costi colturali.

Gli impianti a siepone sebbene consentano di ridurre le spese per le operazioni di scarducciatura (eliminazione di polloni superflui) in virtù di una minore produzione di carducci , presentano maggiori costi per l'eliminazione manuale delle infestanti sulla fila.

Il carciofo ha radici profonde e, all'impianto, si avvale di una aratura principale di 40-50 cm di profondità che, nello stesso tempo, provvede all’interramento del letame o di altri fertilizzanti organici, aventi le caratteristiche indicate dal Reg. Cee n°2092/91.

Successive lavorazioni del terreno di affinamento con erpici rotativi o a maglie sono necessarie ai fini di una buona preparazione dello stesso.

Infine, a seconda del sistema irriguo adottabile ed in particolare in terreni compatti ed argillosi, può anche essere necessario intervenire con macchine aiuolatrici, per la formazione di prose (aiuole) atte ad evitare ristagni d'acqua nei periodi molto piovosi.

L’impianto del materiale di propagazione può essere effettuato manualmente o con l’ausilio di trapiantatrici a pinze o ad alveoli.

 

Gestione della fertilità

Come è noto, nella gestione della fertilità, bisogna tenere presente:

-         il posto che il carciofo occupa nella rotazione;

-         la cultivar prescelta;

-         la sua produttività in relazione alle potenzialità del terreno, alle tecniche di allevamento ed alla fertilità residua della coltura precedente.

Prima della messa a coltura della carciofaia, è indispensabile effettuare le analisi del terreno in quanto forniscono utilissime indicazioni circa il suo stato di fertilità.

In agricoltura biologica, al fine di preservare e migliorare la fertilità, è opportuno operare il recupero e compostaggio sul terreno o in opportuni cumuli, dei residui colturali che ogni anno vengono prodotti.

Per ciò che riguarda l'Azoto, che spesso è un fattore limitante nei terreni pugliesi, si consiglia di impiegare colture da sovescio sempre differenti, come veccia, trifoglio, favino e fava), che andranno poste in coltura ogni due anni (ad esempio 2° e 5° anno in colture di carciofo).

Il carciofo, ed in particolare la coltura a produzione precoce, ha un lungo ciclo colturale, talvolta superiore a 10 mesi e, oltre alla produzione dei capolini che può essere stimata mediamente intorno a 10-12 t/ha, produce una notevole quantità di massa verde (80-100 t/ha) in parte utilizzata per una migliore presentazione del prodotto sul mercato.

In orticoltura biologica è da evitare la commercializzazione dei capolini con stelo talvolta di lunghezza superiore a 30- 40 centimetri e con almeno 2-3 foglie. Infatti, con questa modalità di raccolta vengono asportati annualmente da una carciofaia almeno 15-20 t/ha di foglie e di steli che, invece, devono reintegrare la quantità di materiale organico nel terreno.

Con riferimento ai soli capolini e per produzioni dell'ordine di 12 t/ha, la coltura asporterebbe almeno:

Produzione (t/ha)

Elementi (kg/ha)

N

P2O5

K2O

12

90

30

120


In ogni caso si consiglia, al fine di non creare uno squilibrio nella gestione della fertilità, di lasciare un solo carduccio per pianta. In tal modo, i polloni residui si accrescono in maniera più vigorosa ed entrano in fase produttiva più precocemente fornendo capolini di buona pezzatura e di migliore qualità; oppure diminuire la densità d'impianto consentendo, nell'interfila, la coltivazione di una specie da sovescio nel periodo di fermo vegetativo.

Inoltre, una corretta modalità di raccolta consente non solo il riutilizzo dei residui in campo ma anche notevoli risparmi energetici per il minore tempo impiegato nella raccolta, la maggiore quantità di prodotto trasportato da automezzi.


Gestione delle risorse idriche

La conoscenza delle caratteristiche del terreno (tessitura, profondità, capacità di ritenzione o permeabilità, giacitura), della profondità dell'apparato radicale della specie coltivata, dell'andamento climatico dei periodi colturali e la stima dell'evapotraspirazione giornaliera, sono i principali parametri da tenere presenti per stabilire volumi e turni irrigui.

Una buona gestione delle risorse idriche partendo da queste conoscenze deve tendere innanzitutto al massimo utilizzo delle risorse naturali.

A tal fine, un'adeguata preparazione del terreno prima dell'impianto e opportune lavorazioni durante il ciclo colturale, o l'utilizzo di pacciamatura con piante da sovescio o materiale plastico, consentono di utilizzare al meglio l'acqua nel terreno e quella che gli eventi meteorologici mettono a disposizione durante l'anno.

Di fondamentale importanza risulta anche la scelta di una varietà con esigenze idriche adeguate alle disponibilità e una densità d'impianto idonea.

Nel caso si debba intervenire nei periodi più siccitosi, il metodo irriguo da utilizzare è quello che prevede l'impiego di microerogatori (a spruzzo o a goccia) che, disposti spesso su tendoni di vitigni divelti, o meglio a terra sulle file della carciofaia, consentono un risparmio ed una migliore distribuzione dell'acqua, una minore lisciviazione di nutrienti ed infine un minore sviluppo della flora spontanea.

Ciò in funzione della migliore efficienza del sistema, della distribuzione più regolare e controllabile dell'acqua e dell'area interessata dall'irrigazione che riguarda solamente superfici ridotte a circa 1/3 rispetto a quella totale.

Le linee erogatrici, in materiale plastico, con gocciolatori disposti a circa 50-60 cm l'un l'altro, possono permanere in campo per più anni, in particolare quando la carciofaia viene impiantata a file pressoché continue e con distanze allargate tra le file (180-200 cm), in modo da consentire il passaggio dei mezzi meccanici.

Con distribuzione ogni 2-3 giorni di bassi volumi irrigui (100-150 m3/ha) nei periodi estivi e nelle giornate più calde, è possibile mantenere la capacità idrica del terreno a livelli ottimali e soddisfare il fabbisogno idrico delle colture.

Questo consente di ridurre notevolmente le infezioni da patogeni fungini ed in particolare dall’oidio il quale si manifesta spesso, nel periodo estivo-autunnale, soprattutto in carciofaie a risveglio anticipato. In alternativa si può usare il metodo per infiltrazione laterale da solchi con volumi di 400-500 m3/ha di acqua da distribuire ogni 15 giorni circa.

La tecnica irrigua, tuttavia, ha una grande importanza anche ai fini delle rese e della qualità dei prodotti.

Lo studio per una razionale distribuzione dell'acqua, in modo da evitare sprechi e soprattutto perdite di nutrienti per lisciviazione e/o erosione dei terreni con inevitabile inquinamento delle falde acquifere profonde o superficiali, rappresenta l'aspetto da tenere sempre presente nella programmazione irrigua della coltura.

Il fabbisogno idrico per il carciofo varia in relazione all'epoca d'impianto o di risveglio della carciofaia ed all'andamento della piovosità dell'annata.

In terreni argillosi e profondi, il risveglio della carciofaia (luglio-agosto) viene effettuato con adacquate di circa 800-1000 m3/ha, mentre successivamente ed a turni di 10-15 giorni nei periodi siccitosi, vengono distribuiti da 400 a 600 m3/ha di acqua ad ogni intervento irriguo (5-6 interventi dopo il risveglio).

Nei terreni tendenzialmente sabbiosi o comunque molto permeabili i volumi di irrigazione devono essere ridotti a circa la metà, con turni irrigui dimezzati (ogni 5-6 giorni). Le carenze idriche provocano produzione ritardata dei capolini e limitano alquanto la loro pezzatura e qualità.

D'altra parte, in cultivar precoci, un risveglio molto anticipato della carciofaia (inizi di luglio) richiede, in genere, diversi interventi irrigui, ma comporta, oltre a maggiori costi, anche rischi dovuti, talvolta, alla presenza di elevate percentuali di capolini atrofici.

Per le cultivar a produzione tardiva (marzo), il ricorso all'irrigazione è limitato solamente a quando si verificano periodi siccitosi che possono essere critici per la coltura, poiché il risveglio delle carciofaie si verifica in modo naturale con le piogge di fine estate.


Gestione della flora infestante

Il carciofeto, a causa del lungo ciclo colturale, necessita di una attenta gestione della flora spontanea.

Pertanto la programmazione della rotazione deve prevedere, nella precessione, colture sarchiate o rinettanti anche se è da tenere presente che il naturale sviluppo delle piante di carciofo riesce a contrastare abbastanza bene la crescita delle infestanti.

Nei nuovi impianti si consiglia di allargare le distanze tra le file (1,80-2,00 m) per facilitare l'uso dei mezzi meccanici o, in alternativa, per seminarvi colture da sovescio (nell'interfila) come antagoniste della flora spontanea; sulla fila si interviene manualmente (scerbatura) o con l'aiuto di zappe, oppure si possono ridurre le distanze tra le piante (60-70 cm circa) in maniera da rendere meno competitive le infestanti.

Le lavorazioni superficiali  effettuate con attrezzi trainati da cavalli, sono state sostituite dall'impiego di piccoli coltivatori o da mezzi pesanti (trattori), trainanti attrezzi discissori a dischi rotanti o frese, nelle prime fasi del ciclo colturale, quando la vegetazione è limitata a 20-30 cm di altezza; in seguito, allorchè lo sviluppo delle piante raggiunge 50-60 cm circa di altezza e le foglie tendono a chiudere l'interfila, non è più possibile intervenire con mezzi meccanici.

Le infestanti più comuni nei carciofeti, in estate, sono: Portulaca, Amaranthus e Chenopodium tra le Dicotiledoni ed Echinochloa, Digitaria e Setaria tra le Monocotiledoni.

Nel periodo autunnale ed in quello primaverile sono spesso presenti: Papaver, Veronica, Stellaria, Calendula e tra le Dicotiledoni, Avena, Poa, Lolium e Cynodon tra le graminacee.

Quest’ultime, ed in particolare la gramigna (Cynodon dactylon L.) e l'acetosella (Oxalis cernua Thunb.) che negli ultimi decenni si è largamente diffusa in alcune località pugliesi, sono le specie più difficili da combattere poiché si propagano attraverso rizomi e bulbilli.

Un’adeguata lavorazione del terreno per portare in superficie gli organi riproduttivi ed un trattamento con pirodiserbo effettuati prima dell’impianto della carciofaia, dovrebbero consentire di ridurre notevolmente la loro presenza.

Anche la pacciamatura del terreno con film biodegradabili o fotolabili potrebbe essere efficacemente utilizzata, almeno nel primo anno d'impianto del carciofeto, per controllare la flora spontanea.

L'impiego di mezzi fisici quali il pirodiserbo ed il criodiserbo non sono stati sufficientemente studiati, ma, in teoria, potrebbero divenire alquanto utili qualora venissero messe a punto le attrezzature idonee al loro impiego.

 

Altre operazioni colturali

Al fine di stimolare la massima precocità di produzione è necessario ricorrere alla cosiddetta scarducciatura delle piante che, in genere, avviene in due diversi periodi.

L'operazione, che viene fatta manualmente, consiste nell'eliminare, a strappo, i polloni superflui delle piante, lasciandone in allevamento uno o due, raramente tre, a seconda della fertilità del terreno.

Un primo intervento di scarducciatura viene effettuato a settembre-ottobre ed un secondo in febbraio.

I carducci asportati possono essere in parte utilizzati per l'impianto di nuove carciofaie o trapiantati in piantonaio, in parte per l'alimentazione del bestiame da carne (ottenendo di ritorno letame), ma frequentemente rimangono sul terreno a costituire sostanza organica o materiale pacciamante.

Dalla scarducciatura si possono ottenere fino a 20-25 t/ha di materiale fresco.

Un’altra operazione colturale è quella relativa alla cosiddetta dicioccatura che consiste nell'eliminare i residui delle piante a fine raccolta.

Tale operazione, alcuni anni or sono, veniva effettuata con la zappa, recidendo, con un colpo secco, il fusto delle piante a livello del terreno o poco sotto.

Il materiale può venire accumulato in mucchi e compostato.

Attualmente si fa ricorso a mezzi meccanici frangi-sarmenti che sfibrano e riducono in piccoli frammenti le piante ormai secche, rendendole particolarmente adatte alla loro decomposizione.

Tale tecnica appare molto convincente ed economica, ma deve essere evitata per il diffondersi di agenti di gravi malattie fungine come Fusarium, Verticillium, Sclerotinia e Rhizoctonia se questi erano presenti nella precedente coltivazione.

L'asportazione e la distruzione (fuori dal campo) di piante infette, quando se ne evidenziano i sintomi durante la fase colturale, con successiva disinfezione localizzata del terreno, possono essere i deterrenti più efficaci per evitare la trasmissione di questi patogeni.

Inoltre, la conservazione della sostanza organica tal quale evita, al contrario della bruciatura, la perdita di azoto, elemento indispensabile per l’accrescimento delle piante.

L’interramento dei residui, con aratura interfila profonda 20-25 cm circa, viene di regola effettuata dopo l’irrigazione allorché sono evidenti le file della nuova vegetazione.

Se le pratiche preventive effettuate durante il periodo colturale non hanno sortito gli effetti sperati, viene anche effettuata la lotta contro topi e arvicole, insetti e parassiti fungini, dei quali si parlerà in apposito capitolo.

Si può solo anticipare, in questo contesto, la buona efficacia di piccole attrezzature funzionanti a pila, le quali, disposte nelle carciofaie a livello del terreno, emettono alternativamente piccoli rumori o vibrazioni che tengono lontano i topi ed altri roditori.

Anche la copertura delle piante con teli di "tessuto non tessuto" è risultata efficace nel controllo di lepidotteri, afidi e coleotteri, costituendo una barriera fisica alla loro voracità, senza costituire grave ostacolo alla permeabilità della luce.

Tra l’altro, l’impiego di tali mezzi consente di ottenere anche una buona precocità produttiva, come messo in evidenza da alcune esperienze condotte nelle Marche.


Raccolta
Per il consumo fresco e sui mercati, il carciofo viene di norma conferito in fasci di 15-20 pezzi per le varietà precoci e di 5-6 pezzi per le varietà a grossi capolini, con gambo che talvolta supera i 30-40 cm e con almeno 2-3 foglie.

Tale sistema di raccolta oltre a comportare costi più elevati, porta ad una perdita di materiale organico che deve invece reintegrare in parte la fertilità del terreno.

Attualmente, in particolare per i supermercati, i carciofi vengono conferiti in vassoi o in casse con stelo di lunghezza non superiore a 8 -10 cm come indicato dalle norme stabilite dall'ICE per il commercio con l’estero.

La raccolta del prodotto così effettuata deve essere la norma per l'orticoltore biologico.
Il trasporto al bordo del campo avviene, in genere, con impiego di contenitori (sacchi, cesti) che l'operaio porta in spalla o legati alla cintola.

Allargando le distanze tra le file è possibile caricare il prodotto raccolto in piccoli cassoni, trasportati da motocoltivatori o trattori di modeste dimensioni, riducendo così i tempi morti che, considerando le numerose raccolte (talvolta fino a 15-20 per le cultivar precoci), gravano oltremodo sui costi.

Nelle grandi aziende è anche possibile intervenire con trattori scavallatori provvisti di un contenitore e di ali mobili che, attraverso nastri trasportatori azionati da motori idraulici, fanno confluire il prodotto, raccolto da operai che seguono il trattore, nel contenitore.

Alle testate del campo si provvede allo scarico del prodotto, alla sua selezione ed al confezionamento in cartoni impermeabili o in cassette.

Tali operazioni possono però avvenire anche in appositi magazzini, spesso provvisti di celle frigorifere per la temporanea conservazione del prodotto.

La conservazione va effettuata (per 3-4 giorni) a temperature di 2-3 °C ed umidità relativa del 90 per cento.

Alcune aziende agricole pugliesi sono già provviste di tali attrezzature o conferiscono il prodotto a cooperative che provvedono alla sua selezione, lavorazione e conservazione temporanea, prima dell’invio ai grandi supermercati o all’esportazione.


Aspetti qualitativi

Un prodotto di buona qualità deve essere innanzitutto fresco, intero, sano, pulito, privo di odore o sapore estranei, così come indicato dalle "Norme di qualità per l'esportazione dei carciofi" emanate dall'I.C.E. con D.M. del 21 luglio l962.

Tali normative risultano tuttavia un po lacunose perché sarebbero da mettere in evidenza altre caratteristiche peculiari quali ad esempio la compattezza, l'assenza di brattee interne violacee e di peluria (peli formanti il pappo, organo caratteristico della famiglia delle Asteracee), le quali sono indicative del momento ottimale della raccolta del capolino e della sua tenerezza.

Anche il peso dei singoli capolini privi di stelo dovrebbe essere limitato ad almeno 100 g per quelli commercializzati sui mercati come prodotto fresco.

A parte queste considerazioni, le normative prevedono la classificazione dei capolini in tre categorie: Extra, 1ª e 2ª.

La categoria Extra prevede capolini di qualità superiore, con brattee ben serrate e colorazione tipica della varietà, esenti da ogni difetto.

La 1ª categoria deve essere rappresentata da capolini di buona qualità, con brattee ben serrate; sono ammesse lievi alterazioni da gelo e lievissime lesioni.

La 2ª categoria comprende capolini di qualità mercantile con brattee un pò aperte; è ammessa una lieve deformità, alterazioni dovute al gelo, lievi lesioni, lievi macchie sulle brattee esterne.

Per i capolini Extra e di 1ª categoria è obbligatoria la calibrazione determinata dal diametro della sezione massima normale all'asse del capolino.

I capolini vengono distinti in cinque classi con diametro compreso fra:

-         6 - 7,4 centimetri per i capolini di minore pezzatura;

-         7,5 - 8,9;

-         9 - 10,9;

-         11 - 12,9;

-         oltre i 13 cm per i capolini di dimensioni maggiori.



Nella 2ª categoria i carciofi devono essere obbligatoriamente calibrati in tre classi:

-         6 - 8-9 cm per i capolini più piccoli;

-         9 - 12,9 cm per quelli di media pezzatura;

-         oltre i 13 cm per quelli di maggiore peso.

Le tolleranze di qualità nella categoria Extra sono rappresentate dalla presenza di non più del 5 per cento, in numero, di capolini della 1ª categoria e da un massimo del 10 per cento, sempre in numero, di capolini non rispondenti al calibro dichiarato e, tuttavia, rappresentati nella calibratura immediatamente inferiore o superiore.

Nella categoria 1ª e 2ª è ammesso il 10 per cento di capolini non corrispondenti alle caratteristiche di categoria.

Il cumulo delle tolleranze di qualità e di calibro non può tuttavia superare il 10 per cento per la categoria Extra ed il 15 per cento per quelle di 1ª e 2ª categoria.

Le normative, infine, forniscono indicazioni circa l’imballaggio e la presentazione del prodotto; in particolare ogni imballaggio deve contenere capolini della stessa varietà, qualità e calibrazione, con stelo lungo non più di 10 cm.

Le dimensioni esterne degli imballaggi variano in genere da 40x30 a 60x40 cm, con altezza variabile da 5 a 30 cm.

Le indicazioni esterne dell'imballaggio devono riportare il nome dello speditore, la natura del prodotto, la zona di origine, le caratteristiche commerciali (categoria, peso o numero di carciofi, calibro) ed infine il Marchio Nazionale di esportazione.

 

Avversità
Il carciofo è una pianta attaccata da diversi parassiti di origine animale e vegetale.

Crittogame:

-         oidio (Leveillula taurica)

-         tracheomicosi o avvizzimento delle foglie (Verticillium dahliae)

-         marciumi del colletto (Sclerotinia sclerotiorum)

-         rizottoniosi (Rhizoctonia solani)

-         marciume dei capolini (Botrytis cinerea, Ascochyta spp.)

-         peronospora (Bremia lactucae).

Batteriosi:

-         marciume radicale (Erwinia carotovora var. carotovora).

Virus:

-         virus dell'avvizzimento della fava (BBWV)

-         virus dell'avvizzimento maculato del pomodoro ((TSWV).

Parassiti animali:

-         afidi (afide nero della fava, afide verde-nerastro del carciofo, afidone della patata, afide verde del pesco);

-         lepidotteri (nottue, depressaria del carciofo);

-         molluschi;

-         roditori.

Fisiopatie:

-         danni da freddo

-         atrofia dei capolini